Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Ecco tutti i distretti che fanno marameo alla recessione

I distretti lo fanno meglio. La tipicità italiana dei territori in cui si raggruppano industrie affini per attività risulta vincente. Almeno secondo il rapporto presentato a Milano dall’ufficio studi di Intesa Sanpaolo, le imprese dei distretti rispetto alle aree non distrettuali, tra il 2008 e il 2013, sono cresciute in media di più in termini di fatturato: lo scarto è del 4,2%. Non solo: i distretti hanno maggiore vocazione all’export, fanno più investimenti esteri, registrano più brevetti e marchi che li sosterranno anche nel prossimo biennio con il giro di affari che si incrementerà di quasi il 7%.

I NUMERI DEL RAPPORTO

Il rapporto di Intesa analizza i bilanci aziendali degli ultimi cinque anni di quasi 13.000 imprese appartenenti a 144 distretti industriali e di oltre 37.000 imprese non-distrettuali attive negli stessi settori. Evidenziando che il modello del distretto è tutt’altro che in crisi. A dirlo sono innanzitutto i  numeri: nel 2012, per il terzo anno consecutivo, la crescita del fatturato e la dinamica dei profitti delle imprese dei distretti sono state migliori rispetto a quelle delle imprese non distrettuali. E nel 2013, annus horribilis per le pmi con una contrazione del fatturato media dell’1,3%, nelle aree non distrettuali la decelazione ammonta a -2,3%.

CHI GONGOLA

“Tra gli 11 distretti migliori – dice il responsabile della ricerca Industry & Banking di Intesa Sanpaolo Fabrizio Guelpa (nella foto) – sei sono specializzati nella filiera alimentare, meno penalizzata dalla congiuntura negativa: i vini del veronese, il prosecco di Conegliano-Valdobbiadene, i dolci di Alba e Cuneo, il caffè e pasta napoletana, i vini del Chianti e i salumi di Parma. Oltre ai distretti alimentari ci sono poi tre aree specializzate nel sistema moda e, in particolare, nella filiera della pelle: le calzature di San Mauro Pascoli, la pelletteria e le calzature di Arezzo e le calzature napoletane. Tra i primi undici distretti ve ne è poi uno appartenente al sistema casa (il marmo di Carrara) e uno della meccanica (le macchine per l’imballaggio di Bologna)”.

LA RIPRESA

Dunque, dopo un 2013 da dimenticare, nel prossimo biennio i distretti dovrebbero tornare alla crescita, che Intesa stima del 2,2% nel 2014, con un’accelerazione al 4,7% nel 2015. “Alla fine del prossimo anno – continua Guelpa – i distretti non saranno ancora ritornati sui livelli di fatturato del 2008, avendo da recuperare ancora un 1,4%. Il gap da colmare per il manifatturiero italiano è tuttavia molto più ampio e prossimo al 9%”. Saranno soprattutto meccanica e prodotti in metallo a riprendere a crescere trainati dalla domanda sia interna sia estera.

PUNTI DI FORZA

Perché i distretti reggono meglio alla crisi e corrono quando il resto dell’industria cammina? L’essere in rete offre alcuni vantaggi. Come la capacità di esportare (il 45% delle imprese sono esportatrici, contro il 34% delle aree non-distrettuali), la possibilità di effettuare investimenti diretti esteri (il 9,3% delle imprese ha investimenti diretti esteri contro il 7%), l’attitudine a registrare brevetti (55 brevetti ogni 100 imprese contro 40) e marchi (42 marchi ogni 100 imprese contro 22). “La massa critica raggiunta in termini di brevetti, marchi e internazionalizzazione – continua Guelpa – permette oggi di ottenere risultati tangibili e di sfruttare le sinergie tra le diverse strategie: i distretti si confermano pertanto come un luogo privilegiato per la diffusione e l’adozione di comportamenti complessi e catalizzatori di innovazione tecnologica, organizzativa e di mercato”.

ELEMENTI DI DEBOLEZZA

Ovviamente non mancano le criticità e Intesa ne individua due. La prima è l’erosione della redditività, vicina ai livelli della grande crisi del 2009, con margini operativi netti al 3,9%. A causarla è la prolungata crisi della domanda interna e le crescenti pressioni competitive internazionali. In questo contesto preoccupa l’elevata e crescente fragilità che emerge per molte imprese, in particolare per quelle più piccole: un quarto delle imprese non è in grado di onorare i propri debiti di breve termine attraverso l’utilizzo delle attività correnti. Il secondo elemento critico è il rischio di disarticolazione della filiera: le pmi subfornitrici continuano a essere minacciate dalle intenzioni di internazionalizzazione delle imprese capofila. Anche se, a ben vedere, solo l’8% di quelle ad alto valore aggiunto intendono spostare all’estero la rete di subfornitura. Mentre il 62% continuerà a fornirsi da imprese italiane, per evitare poblemi di qualità, affidabilità e time-to-market e un ulteriore il 13% vuole riportare in Italia parte della produzione precedentemente delocalizzata.

CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter