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I partiti tra Ppe ed elezioni europee

Anche il Partito popolare europeo ha deciso – nel suo recentissimo Congresso di Dublino – di indicare una personalità a potenziale presidente della nuova Commissione che – come al solito – dovrà essere formata all’indomani delle elezioni europee.

Al termine di un appassionante duello con l’auto-candidatura del francese Michel Barnier la scelta è caduta sul lussemburghese Jean-Claude Junker.

Le aspirazioni dell’ex ministro Barnier sono state probabilmente danneggiate dal fatto che il francese Joseph Daul è stato a sua volta eletto presidente del Ppe.

Pur trattandosi di candidature più europee che nazionalistiche, non vi è dubbio che la provenienza francese di Daul abbia influito negativamente anche sulle ambizioni presidenziali di Barnier.

In questo contesto sono fortemente accresciute le spinte provenienti dal vertice europeo del Ppe – con particolare riferimento ad Angela Merkel – verso una qualche forma di sostanziale convergenza dei partiti politici italiani, sia che si tratti di quelli già appartenenti al Ppe, sia che – come nel caso dei Popolari di Mario Mauro e del Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano – si tratti di partiti che aspirano a far parte del Ppe medesimo.

Questa convergenza deve essere tenuta presente soprattutto se si vuol avere una adeguata lettura storica della nascita e del mutamento del Ppe medesimo e della sua più recente trasformazione da soggetto a prevalente derivazione democristiana a soggetto in qualche misura più di centrodestra che di centro.

Dal punto di vista dei contenuti complessivi della natura del Ppe, nel passaggio dalla prevalenza italiana caratterizzata dalla Dc fino all’inizio degli anni ’90 e da allora dalla molto rilevante presenza degli spagnoli del Partito popolare, occorre aver presente che viene in evidenza proprio il significato stesso del principio di solidarietà, che mai come nei tempi recenti della lunga crisi economica ha finito con l’assegnare un significato particolarmente rigido alla cosiddetta linea del rigore.

Ma la spinta verso la convergenza di un in qualche modo nuovo partito italiano che faccia capo al Ppe, si scontra con le ormai imminenti elezioni europee.

Questa imminenza è caratterizzata in modo particolarmente evidente sia per quel che riguarda lo sbarramento nazionale (attualmente vigente del 4 per cento), sia per quel che riguarda le ragioni molto recenti delle differenze che si sono venute costruendo in Italia proprio in riferimento alla adesione al governo Letta e ora al governo Renzi.

Da questo punto di vista sembra ragionevole immaginare che le vicende italiane tenderanno a vedere nella soglia di sbarramento un punto oltre il quale sarà molto difficile andare nella ricerca di una convergenza europeistica completa di tutti i partiti che in qualche modo si richiamano al Ppe.

Occorre a tal riguardo aver presente in particolare il fatto che l’Italia in quanto tale ha avuto un ruolo molto significativo proprio per far maturare la decisione della elezione popolare diretta del Parlamento europeo, mentre dal 1994 in poi si è finito con il prendere atto che si andava via via affievolendo il ruolo stesso dell’Italia anche nel contesto del Ppe.

L’ultimo Congresso del Ppe ha purtroppo finito col testimoniare infatti questo affievolimento della presenza italiana. Questa non è infatti sufficientemente bilanciata dal ruolo – anche se molto rilevante – esercitato fino ad oggi da Antonio Tajani quale vice presidente della Commissione europea.

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