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Renzi e l’esplosione nucleare della sinistra

Lucia Annunziata, giornalista e scrittrice di grande prestigio, che di sinistra se ne intende per averla variamente frequentata, ha dichiarato che Matteo Renzi, in pochi giorni di governo ma senza alcuna esperienza alle spalle, «ha portato all’esplosione nucleare della sinistra» (Corriere, 12 marzo). Se la constatazione è obbiettiva (e lo è), nel Pd qualcuno dovrà pure cominciare a riconoscere che, nei fatti, Renzi non è il colpevole ma solo il fotografo di una esplosività che perdura da lunga pezza, e che nessuno scontro sulla parità di genere come nessun ricorso alle primarie può continuare a coprire, essendosi da tempo quel partito – primo nei sondaggi da quando c’è Renzi a guidarlo – ridotto a un agglomerato di corporazioni e di burosaurocrazie contrapposte: al vertice, ma soprattutto in periferia.

Soltanto una settimana fa Renzi ha portato il suo Pd ad aderire al partito socialdemocratico europeo. È davvero socialista riformista, democratica nel midollo, fiera di tale specifica identità, la maggioranza reale piddina, al centro come nei piccoli centri? Chi certifica che il Pd non sia un corpaccione politico al cui interno convivono numerose tendenze, parecchie delle quali non vorrebbero «morire socialdemocratiche» sentendosi, invece, oggi come ieri e l’altro ieri, novelle interpreti di un antico ideologismo comunista ed ugualitarista giacobino? Per non parlare dei pochi (o tanti, a cominciare da Renzi) provenienti da un ingarbugliato mondo cattolico che è cresciuto nella fase terminale della Dc, avendo per riferimento quegli «esterni» che cacciarono gli «interni», occuparono i loro posti, s’illusero d’essere duri e puri e poi condussero lo scudocrociato ad una implosione atomica che lo distrusse.

La stragrande maggioranza delle donne e degli uomini del Pd, a tutti i livelli, di responsabilità e territoriali, non vogliono ammettere che il loro tempo – quello dei doppi e tripli binari, che consentivano di giocare su tutti i tavoli e di riservarsi sempre il diritto di distribuire le carte del gioco – non c’è più. Se c’è stata, nel paese, più che nel partito, un’ondata di simpatia per una squadra di ragazzi che pareva discesa dalla luna a pretendere l’inverosimile, ciò ha, per risvolto, il fallimento, la consunzione dei meticciati culturali: che, alla lunga, rivelano tutta la loro fragilità e provvisorietà. Con esprit florentin Renzi ha compreso che, le posizioni conservatrici e retrograde dei psotcomunisti ed affiliati per sopravvivere, non pagavano più: tant’è che molti compagni, abituati alla fede dell’opposizione, si sono spostati verso un settore privo di dubbi, il grillismo, che, proponendosi come antisistema, raccoglie, con decenni di ritardo storico, l’adesione di un vasto mondo di inappagati e di protestatari non più stregati dal marxismo ma sicuri di avere trovato, in Grillo e Casaleggio, le sue nuove divinità terrene.

A Renzi il Pd rimprovera la rilegittimazione e l’agibilità democratica di Berlusconi col quale ha sottoscritto un patto serio per riformare l’Italia. Questo patto ha funzionato in parlamento. Anzi, senza il soccorso bianco, la nuova legge elettorale non sarebbe passata alla camera, malgrado l’alto premio di maggioranza di cui il Pd beneficia. Ci fosse stato un altro leader al posto di Berlusconi, i deputati ribelli del Pd forse non ci sarebbero stati? No. Ci sarebbero stati ugualmente. E la legge elettorale innovativa rispetto al porcellum sarebbe stata vigliaccamente bocciata. Insomma, l’antiberlusconismo non può continuare a costituire l’alibi per non compiere mai una autentica autocritica. E il Pd continua, malgrado Renzi, a restare come la Cosa di Occhetto. Con buona pace di Arturo Parisi che, alle primarie, ha sempre sinceramente creduto, ma non credo si possa riconoscere nelle sciocchezze con le quali, a sinistra, si continua a cercare di contrabbandare merce avariata. Ormai non più denuclearizzabile, temo.

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