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Dimezzare gli F35? Perché è un errore

Ripensare, ridurre, rivedere. Le “r” del ministro della Difesa non sono solo quelle pronunciate dagli schermi di Sky durante l’intervista con Maria Latella. Va aggiunta infatti una quarta: rilanciare.

La Pinotti non l’ha menzionata esplicitamente ma è evidente che il neo titolare di via XX settembre guardi al suo ruolo istituzionale con il giusto ottimismo della volontà. Il faro del suo impegno è rivolto proprio al rilancio di un settore che è strategico non solo per la sicurezza nazionale ma anche per l’economia e l’industria. In questo senso, le parole del ministro vanno interpretate non come l’anticipazione di una riduzione nell’acquisto già concordato (e già rinegoziato) degli F35 ma come il segno di una politica che non riduce la scelta dei cacciabombardieri di ultima generazione ad un tabù. Pensare e ripensare, quindi. Avendo chiari i termini della questione.

Anzitutto, sapendo che l’Aeronautica, insieme alle altre forze armate, rappresenta un valore irrinunciabile per l’Italia. Non si tratta solo delle straordinarie Frecce tricolori che sono un orgoglio per il Paese ed un simbolo della nostra eccellenza. In gioco c’è la sicurezza della nostra democrazia e la capacità di saperci qualificare come parte significativa di organizzazioni internazionali come il G8, l’Onu e la Nato. La domanda retoricamente provocatoria del ministro Pinotti circa la necessità della nostra forza aerea aveva proprio il senso di sottolinearne la centralità, e non l’irrilevanza. In questo senso, sarebbe irrealistico avere la presunzione di rinunciare ai velivoli di quinta generazione che offrono standard tecnologici notevolmente superiori agli omologhi che erano stati progettati ormai vent’anni fa.

A differenza di altri mezzi, l’Italia non si limita ad acquistare gli F35 ma ne è co-produtture in quanto partecipe e protagonista del programma Jsf. Governo e Parlamento ritennero infatti che fosse vantaggioso per il nostro Paese entrare nel club dei Paesi che scommettevano al fianco degli Usa in questo “salto” innovativo. In base a questo impegno, e immaginando un ordine iniziale di oltre 130 velivoli, all’Italia era stato assegnato il compito di essere hub quarantennale per l’assemblaggio delle ali e per la manutenzione dei cacciabombardieri europei. Da qui, sono discesi importanti ordini per l’industria nazionale e lo sviluppo di Cameri, una vera e propria cittadina dell’alta tecnologia.

Dopo aver già tagliato il nostro ordine di oltre un terzo, rimettere ancora in discussione quanto già deciso dai precedenti governi e dai precedenti Parlamenti non sarebbe un incoraggiamento ad avere fiducia nel Paese. Non solo, restando ostaggio di mezzi obsoleti o il cui ammodernamento sarebbe ben più costoso dei nuovi caccia, ci troveremmo nella condizione di dover rispondere negativamente alla domanda posta dalla Pinotti (“Serve l’aeronautica?”). Il ministro della Difesa conosce benissimo la risposta giusta. Alle commissioni e all’aula di Camera e Senato toccherà fare definitivamente chiarezza.

In difesa non si gioca. Non possiamo permettercelo!

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