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Berlusconi e l’inevitabile estinzione di Forza Italia

La disperazione è cattiva consigliera. Se davvero, come viene ipotizzato negli ambienti di Forza Italia, Silvio Berlusconi, non potendosi candidare alle elezioni europee, intende far capeggiare le liste del suo partito alla figlia Barbara, vuol dire che non ha ben compreso quello che gli sta accadendo intorno e come il clima sia radicalmente mutato.

Per come lo conosco, mi sembra impossibile che l’ex premier commetta un errore di valutazione così grossolano al punto di compromettere la sua famiglia (tralascio l’accoglienza della iniziativa da parte degli altri figli, in particolare di Marina, che “leggerebbero” giustamente la candidatura come una investitura tale da alimentare future aspirazioni della prescelta con conseguenti rotture di equilibri delicatissimi) e contribuire a lacerare ancor più la già logora trama di Forza Italia dove in tanti si vedrebbero sconfessati e marginalizzati dalla dirompente discesa in campo della giovane donna imposta solo perché il capo-famiglia è impossibilitato a partecipare alla competizione.

Allora, come se ne esce? Semplicemente non se ne esce. Ed è questo il pensiero che tormenta Berlusconi fin da quando ha avuto la certezza (e dunque non da martedì sera) che l’interdizione dai pubblici uffici gli avrebbe fatto più male della condanna principale. Veder svanire la propria creatura politica è un dolore che non si placherà facilmente anche perché la speranza di tornare in campo in tempi utili si è dissolta da tempo. Berlusconi sa bene – per quanto debba fingere di ritenere il contrario – che il combinato disposto della pena accessoria e l’incandidabilità sancita dalla legge Severino, non gli permetterà più di guidare alle elezioni il suo partito. Il ché significa che essendo lui – e lui solo – il vero motore di Forza Italia, la più straordinaria macchina di raccolta di consensi che si sia vista nell’Italia del dopoguerra, dovrà desolatamente acconciarsi a veder sbiadire il movimento che aveva fondato nel 1993, fino all’estinzione.

L’inevitabilità dell’evento è legato alla sua stessa indisponibilità, ostinatamente perseguita per vent’anni, a costruire una classe dirigente non per cooptazione, ma per elezione, in grado di succedergli al momento di imboccare il viale del tramonto. Ed insieme con la classe dirigente, frutto di confronti e perfino di conflitti autentici, avrebbe dovuto riempire di contenuti non occasionali il “partito dei moderati” (che ognuno ha inteso a suo modo dal momento che “moderato”, nell’accezione politica, non significa assolutamente nulla) che oggi, per quanti sforzi si facciano, nessuno riesce a decifrare e a definire.

Espulsa una qualsivoglia cultura politica nella costruzione di Forza Italia – e lo stesso è accaduto quando è stato lanciato il Pdl – è mancata la necessaria visione della modernizzazione in rapporto alle esigenze globali che un partito nuovo, “rivoluzionario”, attento ai ceti emergenti ed ai fenomeni innovativi nella sfera pubblica come in quella privata, non meno del disagio diffuso dall’affermarsi dell’interdipendenza planetaria, avrebbe dovuto avere. Tutto si è risolto in una torbida guerriglia all’ombra del formale omaggio al leader: così colonnelli e graduati si sono atteggiati senza mai porsi il problema del “dopo” fidando sulla “eternizzazione” di Berlusconi e protesi alla conservazione di un consenso che non era il loro.

Adesso che tutti i frombolieri del berlusconismo agonizzante si sentono privi di un saldo riferimento, viene in evidenza il problema della successione. E ricorrono perfino a gherminelle patetiche come l’ennesima richiesta di grazia al capo dello Stato il quale nulla può fare e forse nulla avrebbe potuto fare neppure quando le condizioni sembravano più favorevoli e la decadenza non era ancora intervenuta, ma nessuno all’epoca consigliava Berlusconi per il meglio, anzi lo si spingeva ad alzare i toni fino alla rottura insanabile con il Quirinale.

Dove finirà l’elettorato berlusconiano? È difficile dirlo. Il centrodestra non esiste più come soggetto unitario e le elezioni europee che, com’è noto, si svolgeranno con il sistema proporzionale, non sono l’occasione migliore per stringere alleanze: ognuno correrà a discapito dell’altro e, al fine di superare lo sbarramento, è facile prevedere che la competizione sarà feroce. E poi mancano i presupposti per una ricomposizione del centrodestra. Presupposti politici, culturali, addirittura personali. È impensabile che un qualche legame possa stringersi tra Forza Italia, Nuovo centrodestra, Lega, Fratelli d’Italia. Sono divisi su tutto e la divisione è frutto di quell’assenza di cultura politica condivisa su cui si sarebbe dovuto cementare il rapporto tra le componenti del Pdl. Oggi se ne paga lo scotto.

Dopo le europee si dovrà cominciare daccapo ad immaginare un’aggregazione capace di opporsi alla sinistra. Ma chi prenderà l’iniziativa? Coloro che stanno al governo con la sinistra e si dicono europeisti oppure chi l’Europa (almeno questa Europa) la vuole abbattere? E quanti si riconoscono in Forza Italia che cosa faranno, con chi si schiereranno?

Qualcuno, comunque, dovrà pur prendere l’iniziativa di convocare una Costituente per la Nazione nella quale soggetti reattivi e dotati di cultura politica sappiano rapportarsi alla crisi (che non è già più soltanto economica) con realismo. Nella speranza che abbiano imparato dall’esperienza di quest’ultimo ventennio ad usare il “noi” dopo essersi assoggettati all’abuso dell'”io”.

Non è tempo per cavalieri solitari, ma di uomini e donne dotati di spirito critico e di una visione coerente che comprendano la necessità di creare comunità interconnesse nelle quale ognuno giochi il proprio ruolo.

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