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Storia (e cronaca) dell’iniquità fiscale

Ho iniziato a interessarmi della politica quando ero ancora adolescente, agli inizi degli anni’60, sul tema: come pagano le tasse gli italiani.
Trovavo anacronistico che in quegli anni si continuasse un sistema di prelievo fiscale non molto diverso da quello in uso nel Regno dei Borboni. Al posto degli antichi gabellieri del Re si erano sostituiti i datori di lavoro, le ricevitorie dei monopoli di stato e, soprattutto, progressivamente sempre più incidenti, i gestori delle pompe di benzina. Erano e lo sono tuttora i nuovi gabellieri permanenti dello Stato sovrano.

Nel Dicembre 1991, in un articolo per la rivista della sinistra sociale DC di Forze Nuove, Terza Fase- n.12/91, scrivevo: “L’introduzione del welfare state alla fine degli anni’60, che è stata una delle grandi conquiste della DC e del centro-sinistra, si è accompagnata alla riforma fiscale del 1974, voluta dall’allora ministro del PRI, Bruno Visentini, che determinò la scissione tra il momento dell’autonomia ed il momento della responsabilità, ossia il venir meno di uno dei capisaldi fondamentali di tutto l’insegnamento sturziano, con l’instaurarsi di una pericolosissima prassi fondata su un unico sportello centralizzato delle entrate e oltre 30.000 sportelli incontrollati e incontrollabili della spesa, con le conseguenze ben note sul piano del deficit pubblico.

Da un punto di vista strutturale, con la trattenuta fiscale alla fonte dei redditi di lavoro dipendente (con i datori di lavoro pubblici e privati in funzione di esattori fiscali per conto dello Stato), si realizzava una condizione assurda e iniqua per cui il peso prevalente del welfare state veniva pressoché totalmente sostenuto dalle categorie a reddito di lavoro accertabile, mentre largo spazio all’accumulazione veniva lasciato ai detentori di capitali finanziari destinati a sostenere con l’acquisto dei titolo il debito pubblico. Di qui  un sistema vizioso in cui si drenano i capitali dai redditi di lavoro e di impresa e si pompano gli interessi del debito pubblico sino al punto attuale in cui tutte le entrate (siamo nel 1991!!) dell’IRPEF sono appena sufficienti a pagare gli interessi complessivi di BOT e CCT”.

Erano i tempi in cui il deficit della finanza pubblica superava la cifra di 1.300.000 miliardi di Lire che era già enorme anche se, nemmeno lontanamente paragonabile a quella attuale  di oltre 2100 miliardi di € , quasi quattro volte il deficit di 23 anni fa.

La stretta fiscale sempre più incisiva che, alla fine degli anni ’70 e agli inizi degli ’80, fu avviata, costituì una delle cause delle fortune del fenomeno leghista nell’area pedemontana padana. Fenomeno che, con andamento sinusoidale irregolare, si è conservato sino a far occupare alla Lega le posizioni di vertice delle regioni Veneto, Lombardia e Piemonte.

Qualcosa rispetto allora è cambiato? In realtà assai poco, dato che ai maggiori controlli e alle autentiche vessazioni fiscali della costituita Agenzia delle entrate, non si è mai accompagnata la riduzione della spesa pubblica e con il calo della crescita, siamo giunto all’attuale valore del debito pubblico  di oltre il 134% del PIL, secondo soltanto, in Europa,  a quello della Grecia.

Non solo l’avvento dell’euro e le mancate riforme che esso avrebbe dovuto comportare hanno  contribuito  ad aggravare la situazione economica e finanziaria del Paese, ma è la stessa struttura sociologica che si è venuta trasformando come si è tentato di rappresentare con la teoria dei nuovi tre stati in un precedente articolo.

Un testo del 2007 di Charles Adams, For Good and evil, forse la più affascinante e ampia rassegna storica che analizza quale sia stata l’influenza della tassazione sull’economia, sulla politica e sulla civiltà, ripercorre le vicende più rilevanti della politica tributaria dei governi, a partire dalle grandi civiltà del mondo antico, come Egitto, Grecia classica e Roma, fino ai nostri giorni.

Gli insegnamenti che si traggono dalle esperienze del passato attraverso questo “giro del mondo della tassazione” sono molti e illuminanti. E ve n’è uno particolarmente appropriato e utile alla situazione del nostro Paese. L’eccesso di tassazione è sempre la conseguenza dell’eccesso di spesa, cioè dello sperpero di “denaro pubblico” (meglio, di denaro dei privati-sudditi) da parte dei governanti, a vantaggio loro o delle loro clientele: questa rapina legalizzata conduce inevitabilmente all’evasione fiscale e spesso alla rivolta.

Aldo Canevari commentando questo libro sintetizza così cinquemila anni di storia fiscale:

  • La gran parte degli eventi traumatici della storia furono causati da rivolte fiscali.
  • Il cittadino ha il sacrosanto diritto ad opporsi alle rapine tributarie (diritto di appello al cielo di Locke).
  • I cittadini di una nazione si dividono in due categorie fondamentali: 1) I Consumatori di tasse (tax consumers); 2) I Pagatori di tasse (tax payers).
  • I primi rappresentano una minoranza composta dai parlamentari, consiglieri regionali e loro clientele, alti burocrati, vertici degli organi istituzionali, amministratori di aziende e agenzie pubbliche e para-pubbliche, di società partecipate. Il loro numero può essere stimato in un ordine di grandezza di 500.000 individui (circa l’1% dei contribuenti).
  • I secondi rappresentano circa il 99% dei contribuenti.
  • L’evasione è perlopiù effetto dell’abuso del potere impositivo.
  • La propensione media all’evasione è direttamente proporzionale alla pressione tributaria.
  • La vera causa del deficit non è l’evasione, ma l’eccesso di spesa.
  • La formula No Taxation without Representation è ormai inadeguata (perché i rappresentanti al Parlamento rappresentano in realtà solo i propri interessi e quelli delle proprie clientele).
  • È necessario quindi separare il potere di spendere da quello di tassare.
  • La proporzionalità è un principio. La progressività è un arbitrio.
  • I governanti dovrebbero conoscere, capire, e avere sempre davanti agli occhi la Curva di Laffer e tendere alla Flat Tax.

Credo si possano condividere le sue conclusioni che sono così espresse:

In Italia, la pressione tributaria è ai massimi livelli tra le nazioni civili. Le angherie tributarie, l’incomprensibilità delle norme, l’incertezza giuridica, le arbitrarie presunzioni a favore del fisco, l’inversione generalizzata dell’onere della prova a carico del contribuente pongono i cittadini alla mercé del fisco degradandoli al rango di servi della gleba.

In Italia, a fronte di una tassazione spogliatrice, lo Stato non rende i servizi in nome dei quali sottrae al cittadino molto più della metà del suo reddito e confisca risparmi già tassati, per destinarli agli sperperi delle oligarchie parlamentari, burocratiche, giudiziarie, clientelari.

In Italia, attraverso una norma di recente introduzione (art. 29, D.L. n. 78/2010, e D.L. n.138/2011), gli atti di accertamento (che per più del 60% in sede contenziosa risultano infondati) daranno luogo a riscossione immediata di un terzo della maggiore imposta pretesa, pur in pendenza di ricorso, e quindi pur nella consapevolezza che nel 60% dei casi la pretesa tributaria è illegittima e il pagamento da parte del contribuente non dovuto.

In Italia, quindi, è stato reintrodotto il principio del solve et repete: un principio incivile, dispotico, contrario al diritto e alla dignità del cittadino, un principio inaccettabile, micidiale sul piano etico e giuridico, che provocherà danni incalcolabili all’economia e alla sopravvivenza delle imprese e dei privati contribuenti.

Con l’entrata in vigore di questa folle legge la situazione economica del nostro Paese, già seriamente pregiudicata, verrà ulteriormente aggravata e spinta al collasso.

A tutto questo si è aggiunta l’ultima follia degli ultimi governi i quali in luogo di tagliare drasticamente le spese ha saputo solo imporre ulteriori pesanti inasprimenti fiscali che hanno esasperato ancor più il cittadino.

Questo avvilente quadro sintetizza solo alcuni aspetti della dissennatezza-cecità del legislatore. Pretendere, in tale assetto di rapina legalizzata, che i cittadini assolvano correttamente all’obbligo tributario, e scandalizzarsi se non lo fanno, è ipocrisia o idiozia. E, poiché è stata valicata ogni ragionevole soglia di sopportazione, potrà innescarsi in tempi brevi una vera e propria rivolta.

Quello che abbiamo connotato come “ il secondo e il terzo stato” del XXI secolo non ne può veramente più e se non si trovano rimedi urgenti è pronto alla rivolta.

 

Ettore Bonalberti

www.lademocraziacristiana.it

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www.don-chisciotte.net

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