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Euro e Fiscal Compact. Le ricette di Prodi, Tremonti e Savona

Pubblichiamo grazie all’autorizzazione di Class Editori l’articolo di Tino Oldani uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

Per schierarsi contro la moneta unica europea, la Lega Nord ha cambiato il logo del partito, scrivendoci sopra “Basta euro”. Il suo leader Matteo Salvini lo ha mostrato a tutti i tg e spera così di intercettare l’onda crescente degli euroscettici, come è riuscito in Francia al Front National di Marine Le Pen. Ma conviene davvero uscire dalla moneta unica? Soprattutto, è una cosa fattibile? Sul tema è possibile confrontare le risposte che, da due versanti politici opposti (sinistra e destra), hanno dato in questi giorni Romano Prodi e Giulio Tremonti.

LA VISIONE DI PRODI

Intervistato da Repubblica, Prodi ha definito «una follia» l’uscita dall’euro: «Dal giorno dopo avremmo Btp svalutati del 40%, tassi di interesse del 30%, Stato al collasso, banche fallite, dazi contro le nostre merci anche da parte dei Paesi europei. Qualche anima bella obietta: avremmo le svalutazioni competitive! Altra follia. Una bilancia commerciale in attivo dello 0,6% del Pil è la prova che ai nostri imprenditori, non certo tutti pigri e poco competitivi, quello che oggi serve non sono le svalutazioni competitive, ma un rilancio della domanda e dei consumi interni, accompagnato da una drastica semplificazione delle regole e dalla ripresa della lotta all’evasione fiscale».

IL RAGIONAMENTO DI TREMONTI

Tremonti ha dedicato allo stesso tema un intero capitolo del suo ultimo saggio (“Bugie e verità”; Mondadori), arrivando alle medesime conclusioni. Ecco il suo ragionamento: «Fino a che c’è l’euro, per un Paese, uscirne in modo volontario e unilaterale non pare affatto facile. Anzi. Se parli di uscita dell’Italia dall’euro, puoi prendere gli applausi, o anche i voti elettorali. Ma se lo fai davvero, sono poi gli stessi che prima ti applaudivano che vengono a prenderti a casa o magari te la bruciano, la casa, come era nei secoli bui». E questo per una serie di motivi che l’ex ministro dell’Economia dei governi Berlusconi spiega in dieci punti, che prendono diverse pagine. In sintesi estrema: l’uscita di un Paese dall’euro non è prevista dal trattato istitutivo. In proposito, Tremonti cita il francese Jacques Attali, che fu uno dei suoi estensori: «Tutti coloro che hanno avuto il privilegio di tenere la penna per scrivere la prima versione del Trattato di Maastricht hanno fatto in modo che un’uscita non fosse possibile. Siamo stati ben attenti a evitare di scrivere un articolo che consentisse a uno Stato membro di andarsene. Questo non è molto democratico, ma è una garanzia per rendere le cose più difficili, in modo che fossimo costretti ad andare avanti».

Chiosa Tremonti: «Se non hanno fatto e non fanno uscire dall’euro la Grecia, figuriamoci l’Italia! Non solo per la sua storia costitutiva dell’Europa. Soprattutto per la sua dimensione economica_ L’uscita unilaterale, volontaria, dell’Italia dall’euro porterebbe con sé il rischio della fine dell’euro stesso e questo causerebbe, a catena, la crisi del sistema monetario mondiale». Più avanti: «Sarebbe difficile uscire non solo perché il rapporto di cambio (tra lira ed euro, ma anche tra lira e dollaro, tra lira e yen, tra lira e yuan) non potrebbe certo essere formulato unilateralmente dall’Italia, e a suo favore. Ma semmai dagli altri a loro favore». Tutti i Paesi, in caso di nostra uscita, «si coalizzerebbero contro l’Italia». E cosa potrebbero farci? Risponde Tremonti: poiché una quota notevole del debito pubblico italiano è in mani estere e dipende dall’Europa e dalla Bce, che finanzia le banche italiane perché acquistino debito italiano, «basterebbe un nulla per fare saltare tutto. Per esempio, lavorare contro una banca italiana, magari qui sperimentando di fatto il primo bail-in per seminare il panico tra nostra gente». Vale a dire creare le condizioni per un «salvataggio interno» della banca, facendo ricorso (ecco il bail-in) non solo ai capitali degli azionisti, ma anche al risparmio dei clienti. Una prospettiva allucinante, che a giudizio di Tremonti sconsiglia di uscire dall’euro, prendendo atto della realtà: «Siamo diventati, e siamo ancora, un vaso di coccio».

DIVERGENZE TRA PRODI E TREMONTI

Soltanto su un punto Prodi e Tremonti si discostano, ed è sul Fiscal compact, il trattato europeo che dal 2016 obbligherà l’Italia a manovre annuali da 40-50 miliardi . Per Prodi «dobbiamo onorare i nostri impegni, compreso il Fiscal compact». Per Tremonti «dobbiamo contestare la logica del Fiscal compact, chiedendo che siano considerati anche i fattori rilevanti (cioè che in Italia il debito privato è positivo, pari a 4 volte il debito pubblico; ndr) e introdotti gli eurobond».

LA RICETTA (MIGLIORE) DI SAVONA

A conti fatti, se uscire dall’euro è impossibile, la ricetta migliore – a nostro avviso – rimane quella suggerita tre mesi fa su Milano Finanza e su ItaliaOggi dall’economista Paolo Savona: «Servono due interventi urgenti, la ristrutturazione del debito pubblico con garanzia di cessione del patrimonio dello Stato e il taglio di almeno il 3% della spesa pubblica, per acquistare tempo e procedere a una riforma radicale che richiede tempi lunghi, quella della pubblica amministrazione».

Oltre a questo, “ritorno alla legalità delle decisioni e al rispetto degli accordi (si veda in proposito lo studio di Giuseppe Guarino); attribuzione alla Bce almeno del compito di intervenire sul cambio dell’euro e al Parlamento Europeo il potere di decidere, su proposta della Commissione, di attuare un piano di infrastrutturazione e di investimenti in ricerca e sviluppo nell’ambito del 3% del pil europeo”. In conclusione, come scriveva Savona, «dobbiamo uscire non dall’euro ma dall’incubo, e rientrare nel sogno europeo, quello in cui abbiamo sempre creduto e che resta un passaggio storico indispensabile». Un’impresa tutt’altro che facile, ma senza vere alternative.

Leggi l’articolo su Italia Oggi 

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