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Renzi, il Def e Mandrake

Addio Mandrake? Il funambolico prestigiatore, Matteo Renzi, fa i conti con la realtà e i numeri? Ieri niente slide, con pesciolini rossi e carrelli della spesa, alla conferenza stampa di presentazione del Def, il documento di economia e finanza che con il Programma nazionale di riforma (Pnr) indica la strategia di politica economica del governo per i prossimi anni.

In attesa di approfondire i ponderosi documenti, alcune novità sono evidenti. Degli annunci sulle volontà renziane di sforare il tetto del 3 per cento del rapporto deficit/pubblico non vi è traccia e neppure della volontà – di cui sui giornali si è discettato per giorni, anzi per settimane – di utilizzare come coperture finanziarie i margini entro il 3 per cento.

Si è dunque passati dai fuochi pirotecnici alla tristezza dei numeri. Eppure tra le righe il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha lasciato spazio a qualche segnale di ottimismo: nessuna stangata da 50 miliardi di euro l’anno per rispettare il vincolo del rapporto debito/pil per i Paesi che superano il 60 per cento del rapporto. Perciò nessuna riduzione ogni anno di un ventesimo della parte eccedente il 60 per cento del Pil se l’Italia nei prossimi anni crescerà del 3 per cento nominalmente (quindi anche 1 per cento reale e 2 per cento per l’inflazione). Proprio le considerazioni contenute nel libro dell’ex banchiere della Bce, Lorenzo Bini Smaghi, ritenuto ora un renziano, che sarà presentato oggi a Roma e che ieri Formiche.net ha anticipato proprio nei passaggi sul debito. E questo percorso si potrà seguire se saranno realizzate le riforme annunciate su fisco, lavoro e pubblica amministrazione.

In verità, nulla di rivoluzionario rispetto ai governi precedenti, potrebbe dire qualche addetto ai lavori, anche sul fronte della riduzione del debito pubblico. Infatti si confermano gli obiettivi di finanza pubblica per le cessioni pubbliche, cifrate quest’anno in 12 miliardi (gulp, 12?), e per la diminuzione della spesa pubblica, per 32 miliardi complessivi nel 2016. E gli scettici possono anche notare che i fantasmagorici 80 euro al mese in più in busta paga per chi ha un reddito inferiore ai 25 mila euro l’anno fanno lievitare il Pil – secondo le stesse stime del governo – solo di un misero decimale. E l’Irap sarà ridotta a regime del 10 per cento, quindi quest’anno solo del 5 per cento.

Tanto rumore per nulla? E’ quello che penserà magari chi si era illuso che con i conti pubblici si può giochicchiare a piacimento come in una partita a dadi. Eppure c’è del renzismo distillato negli annunci più o meno confermati ieri. Il renzismo bada al sodo. Dunque: gli 80 euro in più ai meno abbienti proprio a cavallo delle Europee per corroborare i consensi per il Pd ci saranno (e il governo fa pure capire che si saranno sgravi per i cosiddetti incapienti). Si potrà obiettare che l’aumento per le banche della tassazione sulle plusvalenze per la rivalutazione delle quote di Bankitalia (un siluro da 1 miliardo per gli istituti di credito) non è un taglio strutturale ma una tantum, come l’Iva che lo Stato incasserà per il pagamento alle imprese dei debiti della pubblica amministrazione. Però il messaggio per chi non è docente di Contabilità dello Stato è chiaro: Matteo Renzi tassa di più le banche per dare soldi ai meno abbienti. Altro messaggio: si tagliuzza l’Irap sul lavoro e sulle imprese aumentando la tassazione sulle rendite finanziarie al 26%. E ancora: si stabilisce un tetto agli stipendi e ai manager pubblici.

Populismo che cerca di tagliare l’erba al grillismo? Forse, però sono messaggi efficaci. Addio Mandrake?

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