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La Bocconi svela quello che non si sa sui lavoratori poveri in Germania

“Nel marzo 2013 incappai in un report di Bloomberg.com dal titolo ‘Working poor: il dilemma della Merkel nell’anno delle elezioni, mentre il divario economico aumenta’. Turbata, mi chiesi perché mai Bloomberg sentisse il bisogno di scrivere un articolo su quanti, pur avendo un’occupazione, venivano definiti working poor”. Patricia Szarvas (nella foto), giornalista economico-finanziaria, introduce e motiva così il suo “Ricca Germania. Poveri tedeschi. Il lato oscuro del benessere” (UBE 2014, 156 pagg., 15 euro, 8,99 e-pub).

IL SAGGIO BOCCONIANO

Il libro della casa editrice dell’Università Bocconi è un viaggio-inchiesta che indaga in profondità, dall’interno, il boom germanico, sistematizzando dati e posizioni che si ritrovano spesso in ordine sparso o sono accessibili solo agli addetti ai lavori.

L’AUTRICE

Patricia Szarvas, giornalista economico-finanziaria, ha lavorato per molti anni per la Cnbs di Londra, prima di trasferirsi in Germania. Ha collaborato con il canale televisivo tedesco N24 e con Rai3.

I NUMERI

Approfondendo la crescente disuguaglianza sociale in Germania “scoprii” – dice Szarvas – “che oggi la Germania conta almeno 900 centri di distribuzione viveri, rispetto ai 35 del 1995, e che il numero di tedeschi che hanno bisogno di un pasto caldo al giorno è raddoppiato in cinque anni, arrivando a 1,5 milioni”.

LA PREFAZIONE TEDESCA

Secondo il presidente dell’Istituto di ricerca Ifo di Monaco, Hans-Werner Sinn, che ha firmato la prefazione, la causa è da ritrovare “nelle dolorose riforme sociali introdotte dall’Agenda 2010 durante il governo Schröder”. Obiettivo dell’Agenda 2010 era la lenta sostituzione dei sussidi di disoccupazione e il passaggio della disoccupazione di lunga durata all’assistenza sociale, nonché un integrazione salariale per chi percepite un salario basso”. In sintesi, meno soldi per chi sta a casa, più soldi per chi lavora.

LUCI E OMBRE

“In effetti con queste riforme il Pil della Germania è aumentato ed è aumentato lo stipendio medio”, afferma Szarvas, ma attraverso interviste a politici, economisti, operatori sociali, Ceo, beneficiari di sussidi pubblici, lavoratori, l’autrice conclude che “uno dei principali impatti dell’Agenda 2010 è stato l’ampliamento senza precedenti del settore occupazionale a bassa retribuzione e di conseguenza l’incremento dei working poor”.

EFFETTO HARTZ

Storie di vita vera attraverso le quali l’autrice ha mostrato cosa si cela dietro l’Agenda 2010, le riforme Hartz e i dati statistici ufficiali, mostrando quanto sia controversa, seppure lodata in Italia da molti, in ultimo anche dal viceministro dell’Economia nel governo Renzi, Enrico Morando (Pd). E come l’approccio di Schröder, fordernn und fördern, ovvero sostenere ed esigere, abbia fatto scivolare milioni di persone ai margini della società.

PARLA SCHROEDER

Szarvas ha avuto l’opportunità di intervistare lo stesso Schröder che “ammette per primo di avere le idee chiare su quali siano gli aspetti delle sue riforme che hanno bisogno di essere rivisti, perché, in alternativa, non è difficile ipotizzare che cosa accadrà alla competitività e alla stabilità della Germania nel lungo periodo”.

EMULARE CON CAUTELA

La cancelliera Merkel fino a poco prima delle elezioni 2013 elogiava i risultati delle riforme di Schröder e chiedeva agli altri paesi di prenderne nota. “Ma”, dice Szarvas, “gli effetti collaterali e la parte oscura non vanno ignorati. Se non si pone mano è difficile che la stessa Germania possa mantenere a lungo la sua posizione di locomotiva europea. Riforme che danno vita a condizioni precarie non possono essere un valido cammino. Anzi sono una bomba a orologeria”. Un consiglio indiretto al premier italiano Matteo Renzi che cerca di emulare in Italia le riforme alla tedesca?

LE SFIDE MERKELIANE

Trovare il giusto equilibrio a questo punto – ricorda una nota dell’Università Bocconi di Milano – “è la grande sfida del momento per la Cancelliera che ha già iniziato ad affrontare le questioni chiave: il salario minimo, l’abbassamento dell’età della pensione da 67 a 63 anni per chi ha versato almeno 45 anni di contributi, migliori pensioni, lavoro temporaneo e immigrazione. Inoltre, entro il 2016 almeno il 30% dei consiglieri indipendenti delle aziende quotate in borsa dovrà essere donna e il 3% del Pil sarà destinato alla ricerca. Secondo molti, però, l’obiettivo principale deve essere quello di far rientrare nel mondo del lavoro i 2,9 milioni di disoccupati”.

LE CONCLUSIONI DELL’AUTRICE DEL LIBRO

La strada tedesca è quella giusta? Difficile dirlo. Ogni Stato ha strutture e politiche proprie, ma i Paesi europei possono apprendere una cosa fondamentale dall’esempio della Germania: le riforme strutturali sono fattibili e ripagano. “Tuttavia”, conclude l’autrice, “i lati oscuri dell’Agenda devono fungere da guida per evitare di compiere gli stessi errori. La ricerca dell’equilibrio e della pace sociale la principale sfida che tutta l’Europa si trova ad affrontare”.

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