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Vi svelo perché l’aumento delle accise provoca sicuri danni all’erario

I governi hanno fatto e fanno spesso ricorso alle accise per reperire risorse finanziarie: i risultati in termini di gettito non sono sempre stati in linea con le attese, in particolar modo negli ultimi anni.

La crisi economica, lunga e profonda, ha fiaccato la dinamica del gettito da accise. Si è assistito al tentativo di mantenere elevato il gettito tramite l’inasprimento delle aliquote, ma il risultato è stato un rallentamento della domanda e un aumento di gettito inferiore alle attese, se non addirittura una sua contrazione.

Sono particolarmente preoccupanti le dinamiche decrescenti del gettito da accise che proviene da comparti economici in cui l’azione coordinata dei governi e dell’industria ha registrato negli anni precedenti alla crisi successi significativi dal punto di vista erariale.

Nel 2013 le entrate correnti dello Stato sono state di circa 450 miliardi di euro, di cui circa 255 (il 56,6%) derivanti da imposte dirette. Sono circa 59 i miliardi di euro di entrate generati dalle accise (comprensivi della raccolta sul gioco d’azzardo), ovvero il 13% del totale. Le entrate da accisa, quindi, sono fondamentali per il raggiungimento degli stringenti obiettivi di bilancio dello Stato.

Anche la dinamica delle entrate da accisa conferma l’importanza cruciale di questo tipo di prelievo: infatti, dal 2002 al 2012 il gettito è cresciuto in termini assoluti del 37,2%, con un incremento tra il 2011 e il 2012 addirittura del 9,4%. Nello stesso arco temporale la proporzione delle entrate da accisa sul totale di quelle da imposte indirette (IVA, IRAP, imposte di bollo e registro) è passata dal 21% al 23%.

Durante le fasi di recessione (per esempio, tra il 2003 e il 2004 e il 2009-2010) la percentuale di gettito da accise sul totale delle imposte indirette è cresciuta in modo significativo. Ciò può essere dovuto al fatto che i beni colpiti da accisa presentano tipicamente una bassa elasticità della domanda al prezzo e al reddito; quindi, il loro consumo risente meno delle fasi alterne del ciclo economico. Tuttavia, soprattutto negli ultimi anni, l’aumento relativo delle entrate da accisa rispetto alle altre forme di prelievo è anche la conseguenza dell’incremento delle aliquote: infatti, continuando a confidare sulla rigidità della domanda, si è pensato di poter far fronte alle esigenze di bilancio aumentando il gettito da accise tramite l’inasprimento della pressione fiscale sui settori soggetti al loro pagamento.

Emblematico a questo proposito è il caso dei tabacchi: infatti, pur in presenza di un aumento continuato della pressione fiscale sul settore, dopo il picco del 2010 il gettito ha mostrato un forte rallentamento che è culminato con una diminuzione delle entrate da accisa nel 2013. L’impossibilità di reagire alla diminuzione delle entrate da accisa con un ulteriore incremento della pressione fiscale è resa evidente dall’andamento della domanda, che dal 2011 declina con tassi medi annui che si aggirano intorno all’8%.

Anche il settore dei giochi, pur non potendosi definire maturo come quello dei tabacchi, ha visto negli ultimi anni un rallentamento della dinamica erariale. Tale rallentamento si deve in buona parte allo spostamento della domanda dai giochi ad alta fiscalità a quelli a bassa fiscalità: tuttavia, l’esigenza di riequilibrare la pressione fiscale sulle diverse tipologie di gioco trova un limite nella necessità di difendere il gioco lecito (quindi, tassabile e controllato) dalla concorrenza del gioco illecito che, esente da tassazione e limitazioni regolamentari, è in grado di prospettare ai giocatori rendimenti attesi molto elevati.

Il settore dei tabacchi lavorati e quello dei giochi hanno molto in comune: si è a lungo pensato che la domanda di tabacchi e di giochi fosse sostanzialmente inelastica e che fosse possibile trasferire sui consumatori tutti gli aumenti di tassazione senza incidere in modo significativo sulle quantità domandate; inoltre, entrambi i settori convivono con un parallelo mercato illecito che è tanto aggressivo commercialmente quanto pericoloso socialmente, essendo spesso gestito dalla criminalità organizzata.

Le stime econometriche condotte presso il CASMEF negli ultimi tre anni hanno smentito in modo inconfutabile le credenze circa l’elasticità della domanda per i tabacchi e per i giochi: entrambe sono risultate di molto superiori all’unità, a testimonianza del fatto che tanto i fumatori quanto i giocatori reagiscono agli aumenti di prezzo riducendo in modo consistente la domanda; inoltre, le elasticità sono risultate in forte aumento negli ultimi anni, suggerendo una crescente competizione proveniente dai sostituti illeciti e una maggiore rilevanza degli effetti di reddito legati alla contingente crisi economica.

In queste condizioni, un ulteriore aumento delle accise, sia per quanto concerne l’incidenza totale che per la  componente fissa (cosiddetta specifica) o un aumento sbilanciato della accisa minima, potrebbe indurre una diminuzione della domanda sui mercati leciti tale da ridurre drasticamente il gettito complessivo. Anche se si auspicasse la diminuzione dei consumi di tabacchi e giochi per tutelare la salute dei cittadini, sarebbe importante considerare che la diminuzione di tali consumi dovuta all’aumento dei prezzi potrebbe riguardare esclusivamente i mercati leciti e favorire quelli illeciti. I produttori di tabacchi lavorati hanno compreso le condizioni del mercato e hanno deciso di non trasferire sui prezzi al consumo i recenti aumenti di tassazione (come, per esempio, quello dell’IVA) per non deprimere drasticamente la domanda; l’auspicio è che anche i responsabili della politica fiscale del governo prendano le loro decisioni sulla base di dati scientifici robusti e attendibili.

Non è di certo incoraggiante il recente caso del fumo elettronico. Colpito alla fine del 2013 da un aumento delle accise (da 0% a 58,5%) che ha assimilato liquidi di ricarica e componenti elettronici al tabacco, il settore ha rischiato di scomparire ed è stato forse salvato in extremis da un intervento del TAR cha ha sospeso il nuovo regime impositivo. Se ribaltato sui prezzi al consumo, un tale aumento dell’imposizione avrebbe significato prezzi quasi triplicati e azzeramento della domanda.

Un discorso a parte merita il settore dei prodotti energetici, quello da cui proviene la maggior parte del gettito, che nel 2011 e 2012 è stato colpito da significativi incrementi delle accise: la domanda ha reagito in modo drastico e le entrate non sono aumentate secondo le previsioni. Non si hanno misure attendibili dell’elasticità della domanda di prodotti energetici e, in particolare, di oli minerali in Italia e, quindi, è prudente sospendere il giudizio. Tuttavia, è evidente che la politica di gestione delle accise sui carburanti in Italia non è in linea con quella adottata dalle altre grandi economie dell’Unione Europea: infatti, i livelli dell’imposizione fiscale sul settore sono tra i più alti sia per quanto riguarda la benzina che il gasolio.

In conclusione, si avverte l’esigenza che i responsabili delle politiche fiscali basino le loro scelte su dati certi circa le condizioni di mercato (e, in particolare, circa l’elasticità della domanda), non facendo più affidamento su credenze circa i comportamenti dei consumatori che sono state ormai smentite dai dati e dai risultati consolidati di molte ricerche scientifiche. In questo senso, dati gli elevati costi che le ricerche comportano, il contributo delle imprese che finanziano studi sui settori all’interno dei quali operano andrebbe preso in considerazione in modo costruttivo: infatti, ciò che dovrebbe discriminare un risultato scientificamente attendibile da un’attività lobbistica sconsiderata è la trasparenza delle metodologie impiegate nelle ricerche e la replicabilità dei risultati finali, non la provenienza dei finanziamenti.

Marco Spallone

Dipartimento di Economia, Università di Pescara

CASMEF, Luiss Guido Carli

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