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Berlusconi resterà la croce e la delizia degli italiani

Che Silvio Berlusconi sia stato trattato dai giudici milanesi con il guanto di velluto, non c’è dubbio. Ma una decisione discutibile può anche essere una decisione saggia. Essa infatti permetterà al leader di Forza Italia una certa agibilità politica, ma con evidenti limitazioni che lo costringeranno a rinnovare l’armamentario propagandistico. Difficilmente, infatti, potrà tuonare contro il pericolo comunista (sarebbe un regalo a Matteo Renzi) e contro la magistratura (sarebbe un regalo a Beppe Grillo, oltre a costargli la probabile revoca dei benefici concessigli).

Inoltre, non me ne voglia qualcuno, vedere a “Villa Arzilla” chi fino a poco tempo fa  era un playboy che faceva il capo del governo, o un capo del governo che faceva il playboy, mi suscita perfino un sentimento di tenerezza. Attenzione, però, a suonarne per l’ennesima volta il “de profundis” politico.

È vero che la grande forza manipolativa sull’immaginario collettivo dell’ex Cavaliere, compresa la stessa carica ironica che caratterizzava la sua esibita esuberanza della carne, si sta spegnendo. Ma è anche vero che il blocco moderato che egli rappresenta ha radici profonde, e resta permeabile al fascino di una alleanza nazional-populista a sostegno di un euroscetticismo “morbido”, da giocare alla roulette elettorale.

In fondo, del Berlusconi odierno si potrebbe ripetere quanto Marx scrisse su Lord Palmerston: “Benché settantenne e dopo aver occupato senza interruzione la scena politica fin dal 1807, egli riesce a rimanere una novità e a suscitare tutte quelle speranze che di solito si accentrano su un giovane promettente e alle prime armi… Se non è un buon statista tuttofare, è almeno un attore buono per tutte le parti. Ha successo nel genere comico come nell’eroico, nel patetico come nel familiare, nella tragedia come nella farsa, benché quest’ultima è la più congeniale alle sue inclinazioni”.

In ogni caso, si può aggiungere, resta la croce e la delizia per molti italiani.

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