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L’America e il trolling ai jihadisti sui social network

Fa notare la CNN che il vecchio mantra del “noi non parleremo mai con i terroristi” per certi versi sta vendendo meno; boutade per raccontare il piano con cui il governo americana sta interagendo con le affermazioni di jihadisti e simpatizzanti on line, soprattutto negli spazi dei social network.

Il programma è gestito dal Center for Strategic Counterterrorism Comunications (CSCC) del Dipartimento di Stato, e il coordinatore Alberto Fernandez ha commentato, proprio alla CNN, «Stiamo effettivamente dando ad al-Qaeda il beneficio del dubbio, perché stiamo rispondendo ai loro argomenti»,.

Come? Facendo i troll, dicono i maligni: e cioè interagendo con le comunità islamiste telematiche (newsgroup, forum, social network, chatroom) tramite messaggi provocatori, a volte irritanti, allo scopo di disturbare gli scambi normali e i rapporti tra jihadisti e loro amici virtuali – che poi, per esperienza provata dai servizi, molto spesso diventano anche fisici, arruolandosi con i vari gruppi. Uno studio del King’s Collage di Londra, ha analizzato come sia forte l’ispirazione prodotta da predicatori islamici radicali, basati in Occidente e influenti sui social network, e come abbia mosso ondate di occidentali a combattere in Siria – si stima che siano circa un quarto degli 11 mila stranieri presenti.

In Siria, appunto: la potenza dei social network ha portato il conflitto ad essere vissuto praticamente real time. Ci siamo abituati ormai all’esposizione dei trofei di guerra – teste tagliate, nemici uccisi, posizioni conquistate – come alle foto amichevoli, rilassate, scherzose, tra i combattenti, o ancora più a proclama, invettive, campagne di arruolamento, e dilemmi teologici (giorni fa, si chiedevano se fosse giusto vedere il calcio, sport che espone l’uomo a gambe nude). Trasformando questi spazi in rete, come un ottimo modo per motivare e spronare altri jihadisti ancora non del tutto convinti.

La potenza della Rete, si dirà, è controversa: forse. Il punto non è mica questo, però. Perché adesso, è all’interno di quella Rete che si muove il mercato della idee, ci piaccia o no: e allora sembra quasi naturale che la Cia abbia pensato di creare profili ad hoc, per rispondere in arabo, in somalo, in urdu, a questa enorme minaccia.

Per tre anni è andata così, fino al dicembre scorso, quando è stato creato l’account Twitter @ThinkAgain_DOS in cui tutto è stato portato ufficialmente alla luce del sole. Niente più infiltrazioni, niente più falsi nomi. Lo sviluppo di “Think again, turn away”, questo il nome completo del profilo, ha portato agli occhi di tutti, lo spettacolo del governo degli Stati Uniti che litiga su Twitter con i jihadisti.

Intorno al programma c’è scetticismo, va detto: anche se dalla Brookings Institution – che ha collaborato con il CSCC – ne parlano come di un ottimo strumento di psy-op (“Persuade, Change, Influence“), un modo per entrare dentro la testa degli islamisti e di mettersi a discutere, di farli riflettere e magari danneggiarne la proprio immagine. Rifiutano l’etichetta di “troll”, che qualche osservatore più diffidente gli ha affibbiato: «Non c’è niente di stupido e fastidioso in quello che facciamo» ha più volte detto Fernandez. L’obiettivo dichiarato, non è quello di convertire gli estremisti sia chiaro (per quanto piacerebbe agli americani), né di sfotterli o irritarli: ma è di evitare che internet diventi territorio di proliferazione di al-Qaeda, come altri spazi non governati dove “La base” attecchisce – il deserto del Sahara, le provincie tribali dello Yemen, la Somalia, la guerra confusa in Siria, per fare alcuni esempi.

Contropartita, insomma, all’affermazione di al-Zawahiri, che aveva ammesso che oltre la metà delle proprie affiliazioni, arrivano grazie alle campagne mediatiche – e non si tratta più dei vecchi forum in arabo, ma dei social network in lingua inglese.

Non c’è da aspettarsi una risposta precisa alla domanda “sta funzionando?”, anche perché è oggettivamente difficile capirlo. Se non altro, al di là di tutto, dal Dipartimento di Stato fanno sapere che il programma – che consta di 50 dipendenti e un budget annuo di 5 milioni di dollari – ha permesso di leggere più da vicino come funzionano le campagne di propaganda e di reclutamento on line. Certo è, anche, che più che un “mi avete illuminato, non partirò per la jihad”, le risposte più comuni sono aggressive e portano spesso all’accentuarsi dell’antagonismo. Ma intanto fosse anche soltanto un terrorista bloccato, il risultato sotto la linea, significherebbe un buon successo – soprattutto se si ragiona in termini di perdite, anche umane, che l’azione del terrorista avrebbe potuto produrre.

Il piano del CSCC rientra in pieno nella politica di gestione dell’intelligence voluta da Obama: le spie perdono l’iconografia classica, dell’infiltrato, dell’uomo (o donna) con rapporti locali, informatori, contatti, non seguono più le vicende per strada, ma da asettiche stanze per il controllo remoto negli uffici di Langley. Anche a questo ha risposto il presidente russo Vladimir Putin giovedì durante il suo show televisivo – apparentemente liberi cittadini, facevano apparentemente libere domande, a cui lui rispondeva trasmettendo apparente liberalità – quando tra il pubblico è intervenuto Snowden. L’ex contractor Nsa, fuggito in Russia perché ricercato negli Stati Uniti per il caso Datagate, ormai è chiaramente rientrato nel giro magico di zar Vlad, dopo ieri poi. Snowden ha chiesto a Putin se anche la Russia procedeva a campagne di intercettazioni: l’ex uomo del KGB non poteva rispondere altro che «certamente», ma ammonendo che tutto veniva fatto in modo limitato, controllato, autorizzato: sottolineando che per ragioni di mezzi, ma soprattutto di credo, da loro l’intelligence viene fatta sul campo – e infatti, gli Spetsnaz in borghese, commandos legati al GRU (servizio segreto militare) erano stati visti più volte in queste ultime settimane, prima in Crimea e poi in Ucraina, dietro le linee nemiche (vecchie pratiche care ai russi).

Tecnologia, ragionamento, psicologia: testa e braccia, e spesso gambe, che servono tutte insieme. Per questo il capo della Cia Brennan sabato si è recato direttamente a Kiev e non ha scritto un post su Facebook.

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