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Social government

I social, si sa, hanno cambiato abitudine e stili di vita della maggior parte di coloro che li utilizza.
Si passa sempre da un’inezia per restare incollati, poi, ore ed ore davanti ad uno schermo di uno smartphone, lamentandosi successivamente della poca durata della batteria posizionata all’interno del corpo dell’aggeggio elettronico.
Questo ha fatto sì che esista un momento, può capitare in qualsiasi situazione, in cui si ha l’impellenza di usare i social per un motivo precisissimo e altrettanto ultra pressante ma che finisce, nel giro di qualche secondo, col farci monitorare le azioni di chi seguiamo e per concludere poi col fare tutt’altro.
Mi immagino un dirigente di una grande azienda che, partendo con l’intenzione di mandare una mail, finisce per andare a vedere la ricetta del risotto alla crema di scampi su giallozafferano.
E, anzi, già che c’è si chiarisce su cos’è la pasta alla puttanesca.
L’impressione che si ha, però, guardando il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, cioè Matteo Renzi, è che quel momento in cui i social prendono il sopravvento sulla propria vita personale egli non l’abbia ancora superato.
Il fatto che rende basiti è l’estremo utilizzo dei social all’interno di meccanismi governativi, come se se ne facesse, quasi, una questione giovanilista o estremamente generazionale, comunque fortemente didascalica.
L’ultimo punto lo ritengo cruciale perché spiega l’essenza stessa di un governo anomalo, mettiamola così.
(Tanto, è solo la terza volta che si utilizza questo aggettivo riguardo la formazione di un governo).
L’idea che per far capire qualcosa ‘x’, in una conferenza stampa, si debba didascalizzarne il contenuto in modo tale da renderla talmente schematica da svuotarla completamente di significato, è del tutto agghiacciante. O funzionale, a seconda dei punti di vista del lettore. (Se vi sarà un lettore per questo post).
Come se, agli occhi di un inesperto o poco frequentatore dei social media, Renzi stesse veramente spiegando le cose perché lo sta facendo attraverso un altro sistema: ciò significa che se il contenuto è privo di significato, quantomeno il contenente deve essere ben denso di immagine.
E l’immagine nei social, si sa, è tutto.
Tutto questo genera un meccanismo per cui la verità mediata che passa è fattivamente diversa da ciò che è, magari, scritta su qualche documento che dovrà poi essere votato. Un po’ come il meccanismo di fatto e fattoide di Gillo Dorfles.
Prima le slides, poi i dieci tweets. Certamente qualche cronista politico si chiederà quale potrà essere il futuro social network che Matteo Renzi userà nella prossima conferenza stampa.
C’è la possibilità di Instagram, ma poi l’hashtag #lavoltabuona dovrebbe essere modificato in #ilselfiebuono o qualcosa di simile. Su Pinterest ci si sta lavorando.

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