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Ecco la politica economica che ha riunificato la Germania

La Caduta del Muro di Berlino, nel 1989, fu il presupposto per la Riunificazione tedesca. La Germania aveva bisogno di importare capitali dall’estero per provvedere ai giganteschi finanziamenti pubblici impiegati per far acquisire alle imprese della RFT l’intero apparato produttivo dei Lander orientali, senza incappare neiben al riparo dai divieti della Unione europea per gli aiuti di Stato.

Si manovrarono, sin dal 1987, i tassi di interesse verso l’alto, più che raddoppiandoli, anche per controllare l’inflazione che il cambio 1:1 fra marchi della RFT e marchi della DDR aveva determinato nei Lander orientali.

Fu un regalo pagato a caro prezzo dai cittadini della ex-DDR, ed anche dall’Italia, i cui capitali fuggirono in Germania, attirati dagli alti tassi reali tedeschi, e ne finanziarono la ricostruzione. Come era già accaduto nel 1980, l’aumento dei tassi di interesse che venne deciso per resistere al deflusso di capitali ebbe
conseguenze devastanti sul bilancio dello Stato e sul debito pubblico. La svalutazione della lira, nel 1992, fu inevitabile.

In tutto l’ultimo decennio del secolo scorso, la Germania ha mostrato un saldo negativo della bilancia dei pagamenti: l’afflusso di flusso di capitali dall’estero è stato continuo e l’aumento del debito pubblico ha finanziato le imprese industriali. Nei 21 anni che vanno dal 1980 al 2000, che comprendono quindi sia il decennio di preparazione alla Riunificazione sia quello della ricostruzione dell’est, la Germania ha accumulato un saldo estero corrente positivo per appena 23 miliardi di dollari: un attivo pari in media ad 1 miliardo di dollari l’anno, tenendo conto della compensazione tra gli attivi accumulati nel primo decennio ed i passivi del secondo decennio.

Finché c’è stato il comunismo dilagante nel mondo, il sistema politico e quello imprenditoriale tedesco avevano il timore che il Muro cadesse giù, ma sulle loro teste. Due furono le strategie di contrasto: sul piano politico, la sinistra decise di abbracciare sin dal 1959 i principi della socialdemocrazia, con il Congresso di Bad Godesberg; sul piano socioeconomico ci fu l’affermazione nel 1976, nel momento più critico del confronto con l’Est, dei principi della cogestione nelle imprese. I sindacati hanno acquisito il diritto ad avere un terzo dei rappresentanti nel Consiglio di Sorveglianza.

Occorreva però, più di ogni altra cosa, pagare molto bene gli operai: ancora nel 1995, a cinque anni dalla riunificazione tra le due Germanie, i salari tedeschi nel settore industriale rappresentavano il 78% dei redditi risultanti dalla produzione. Per fare un confronto, nello stesso anno ai lavoratori francesi ed a quelli italiani spettava il 68% del prodotto. Ai giapponesi solo il 58%.

Nel 2007, l’ultimo anno prima della crisi comparabile ai precedenti, perché successivamente i dati sono turbati dalla caduta del prodotto, in Germania la quota dei salari nel settore industriale era arrivata al 65%: crollata di 13 punti rispetto al 1995. In Francia, il livello era invece salito al 70% (2 punti in più rispetto al 1995, ma ben 5 in più rispetto alla Germania), mentre in Italia era sceso al 66% (2 punti in meno rispetto al 1995 ed 1 punto in più rispetto alla Germania).

Si spiega così la sostanziale competitività dell’industria manufatturiera italiana rispetto a quella tedesca e la debacle di quella francese. Il Giappone ha ridotto la quota dei salari al 55%. Negli Usa è passata dal 61% del 1979 al 54% del 2007.

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