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Ecco la guerra finanziaria che sta preparando Obama contro Putin

Pubblichiamo l’articolo di Marcello Bussi uscito sul quotidiano MF/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi.

Una guerra finanziaria contro la Russia. Barack Obama non vede l’ora di scatenarla. Perché l’Ucraina filo-occidentale nata dalle manifestazioni di piazza a Kiev è solo un assaggio, l’obiettivo grosso è il Cremlino e per centrarlo non bastano certo le Pussy Riot e una raffica di sms per mobilitare la classe media di Mosca e San Pietroburgo, bisogna adottare metodi molto più sofisticati.

I RISCHI PER L’EUROPA
Peccato che chi rischia di rimetterci le penne in questo scontro sia l’Europa e in particolare i due Paesi di Eurolandia con i più stretti rapporti commerciali e finanziari con la Russia, ovvero Germania e Italia. Secondo il Times di Londra, Washington sta preparando sanzioni che colpirebbero le presunte ricchezze personali del presidente russo Vladimir Putin, in particolare i 40 miliardi di dollari che avrebbe accumulato nelle banche svizzere. Ma in realtà c’è molto di più.

VERSO UNA GUERRA FINANZIARIA?
Ambrose Evans-Pritchard, uno dei più autorevoli giornalisti finanziari, ha rivelato sul Daily Telegraph che negli ultimi 12 anni un gruppo d’élite del Tesoro Usa ha approntato gli strumenti per combattere una guerra capace di mettere in ginocchio quasi tutti i Paesi del mondo senza sparare un colpo. «È un nuovo tipo di guerra, come un’insurrezione finanziaria strisciante, destinata a succhiare la linfa vitale finanziaria dei nostri nemici, una cosa senza precedenti nella sua portata ed efficacia».
Così l’ha descritta Juan Zarate, l’ex funzionario del Tesoro e della Casa Bianca che ha contribuito a delinearla dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001. Una strategia che nei fatti dovrebbe portare a chiudere lentamente l’accesso ai mercati alle banche e alle imprese russe, nonché a tutti i corpi statali, che hanno in totale, secondo i dati di Sberbank, debiti per 714 miliardi di dollari.

 LA “LETTERA SCARLATTA”
Per arrivare a questo punto basta inviare una «lettera scarlatta» in linea con quanto contenuto nella Sezione 311 dell’US Patriot Act, la legge anti-terrorismo del 26 ottobre 2001. Se una banca è accusata di riciclaggio di denaro o di sottoscrivere attività terroristiche (definizione vaga, che può avere un’interpretazione molto estesa), diventa radioattiva, «stretta nell’abbraccio letale di un boa», secondo la suggestiva definizione di Zarate, ora consigliere del think tank Center for Strategic and International Studies. Zarate è convinto che gli Usa possano applicare anche da soli una sanzione del genere, perché tanto l’Unione europea si accoderebbe. Anche se una banca russa non avesse operazioni negli Usa farebbe comunque una brutta fine, perché le banche europee non oserebbero certo sfidare le autorità americane e quindi reciderebbero tutti i rapporti con chi ha ricevuto al lettera scarlatta. Paradossalmente questa nuova strategia è stata applicata per la prima volta proprio in Ucraina nel dicembre 2002, quando molte banche del Paese vennero accusate di riciclare il denaro della mafia russa. Il governo di Kiev accolse ben presto le richieste di Washington.

LE NAZIONI COLPITE
In seguito altri Paesi che hanno ricevuto la lettera scarlatta sono stati la Birmania, la parte nord di Cipro occupata dalla Turchia, la Bielorussia, la Lettonia e la Corea del Nord. Ultimo a capitolare è stato l’Iran, costretto al tavolo dei negoziati sul nucleare. Zarate si rammarica del fatto che Obama abbia troppe esitazioni nell’innalzare il livello delle sanzioni contro la Russia. «Deve togliersi i guanti bianchi», ha detto l’ex funzionario del Tesoro, «perché più aspetta più l’azione deve essere massimalista». Secondo Zarate si dovrebbe cominciare con l’invio di una lettera scarlatta alle banche russe che aiutano il regime siriano di Bashar Assad, poi si passerebbe alle industrie della difesa e alle esportazioni di minerali e di energia. E se non fosse ancora abbastanza si colpirebbe direttamente Gazprom.

LE RAGIONI DEL CONFLITTO
Ma perché gli Stati Uniti dovrebbero dichiarare la guerra finanziaria alla Russia? Probabilmente per schiacciarla prima che diventi troppo forte. È vero che fuori da Mosca e San Pietroburgo il livello di vita è su livelli decisamente bassi per gli standard occidentali e che il Paese, per stessa ammissione del Cremlino, potrebbe già essere entrato in recessione. Ma la Russia è pur sempre il primo produttore mondiale di energia ed è dotata del secondo arsenale nucleare del mondo. Inoltre, attraverso le forniture di gas, ha uno strumento per influenzare le politiche di molti Stati europei. Ma, soprattutto, nutre l’ambizione non nascosta di rompere l’egemonia del dollaro. Washington ha accolto con grande disappunto i negoziati su di un accordo tra Mosca e Tehran per la vendita di petrolio iraniano alla Russia, che pagherà con beni materiali, insomma un baratto del valore di 20 miliardi di dollari. Cifra di per sé irrisoria nel mare magnum degli scambi petroliferi, ma è il principio che fa paura: comprare petrolio facendo a meno del dollaro mina il potere economico e finanziario degli Usa. E il mese prossimo Putin andrà in Cina per parlare di rifornimenti di energia alla seconda economia mondiale. Se anche questi non avvenissero più in dollari, la situazione comincerebbe a diventare davvero preoccupante. D’altronde la Cina continua a siglare accordi per scambiare direttamente lo yuan con altre valute, senza passare prima dalla conversione in dollari.

LA RISPOSTA DEL CREMLINO
Ma la Russia crollerebbe davvero se ricevesse le lettere scarlatte dagli Usa? Mosca dispone di un gruppo agguerritissimo di hacker e Washington teme che potrebbe rispondere a un attacco finanziario con un contrattacco cibernetico. D’altronde due anni fa l’allora segretario alla Difesa, Leon Panetta, aveva lanciato l’allarme su una possibile Pearl Harbour cibernetica: possono interrompere la corrente elettrica in gran parte del Paese, possono far deragliare treni passeggeri», aveva detto, senza per la verità specificare chi potesse fare cose del genere.

MOSCA? NON PROPRIO DEBOLE
Ma Mosca non è poi così debole nemmeno dal punto di vista finanziario. Le società russe nei prossimi 12 mesi avranno in scadenza bond per 115 miliardi di dollari. Ebbene, secondo le agenzie internazionali di rating Moody’s e Fitch, queste società possono resistere alla loro esclusione dai mercati perché nei prossimi 18 mesi possono contare su 100 miliardi di dollari di liquidità e di utili. E le banche russe dispongono di oltre 20 miliardi di dollari in valuta estera nel caso in cui i loro clienti volessero convertire i loro risparmi in rubli in divise ritenute più solide. E c’è poi il fattore globalizzazione: ormai tutti i Paesi del mondo sono interdipendenti tra loro. Come ha osservato il docente di Storia dell’Economia a Princeton, Harold James, le sanzioni alla Russia rischiano di innescare una reazione a catena da far impallidire la crisi del 2008: «Lehman era una piccola istituzione a paragone delle banche austriache, francesi e tedesche che sono diventate molto esposte al sistema finanziario russo. Il congelamento degli asset russi sarebbe catastrofico non solo per i mercati finanziari europei, ma per quelli di tutto il mondo».

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