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Ucraina, pericoloso Risiko

Sono attese per oggi, lunedì 28 aprile, le nuove sanzioni dirette a Mosca (e a qualche partner ucraino) dal G7. La frenata dell’UE sulla durezza dei provvedimenti di cui si sta parlando, non è una novità; e d’altronde tra Russia e Unione Europea c’è un giro d’affari che si muove intorno ai 400 miliardi l’anno. Per gli Stati Uniti, invece, il valore si ferma a 21, ecco perché Obama ha intenzione di spingere sull’acceleratore, inserendo non soltanto nomi (tra i possibili volti nuovi dei colpiti, ci sarebbero i presidenti di Gazprom e Rosneft), ma anche società – si pensa al sistema energetico e bancario, con Vnesheconombank e Gazprombank nel mirino.

Si vedrà tra poche ore: mentre c’è chi dice che il tentavo vero sta nell’andare a colpire direttamente il misterioso “tesoro di Putin” – un capitale che il New York Times stima tra i 40 e 70 miliardi di dollari, difficile da individuare.

Sul campo gli scontri proseguono senza grosse evoluzioni, con i filorussi che ieri hanno mostrato gli osservatori Osce rapiti (liberandone uno per ragioni di salute), e continuano a considerarli prigionieri di guerra – un comportamento che ricorda quello di Saddam – richiedendo lo scambio con i compagni catturati.

Se per le milizie filorusse l’arma è il sabotaggio, il ricatto, la guerriglia e il disordine sociale, l’Ucraina risponde con l’azione non solo militare: agli interventi delle forze speciali e degli elicotteri visti nei giorni scorsi, Kiev ha abbinato una politica di nervi e stress psicologico verso la Crimea. È di ieri, infatti, la notizia della decisione del governo centrale di chiudere i rubinetti dell’acqua alla Crimea: la penisola neorussa, dipende per oltre l’85% dall’Ucraina per quanto riguarda l’approvvigionamento idrico (così come per altre importanti utilities). Kiev ha deciso di sospendere le erogazioni, per via di un debito non saldato – praticamente un comportamento analogo a quello più volte minacciato dalla Russia con il gas, proprio verso Kiev.

Ma mentre tra le forze in campo c’è possibilità di azioni diversificate, da scegliere in un’ampia gamma (per quanto opinabile) di strumenti e strategie, l’unica arma in mano all’Occidente resta quella, come detto, delle sanzioni. Operazione difficile, ancora più ora che ci si avvicina al nocciolo della questione, e cioè al colpire il sistema e non più i singoli. Obama negli ultimi passaggi, ha preferito gestire la cosa-ucraina senza troppe pubblicità – ha più volte detto, rispondendo a domande in merito durante i suoi quotidiani appuntamenti, di preferire altri argomenti. È comprensibile: nella necessità mondiale della riaffermazione statunitense come potenza globale, le difficoltà si trovano tutte nei fatti. Procedere unilateralmente contro la Russia è complicato, quasi impossibile, se si considera l’eterogeneità di vedute – e interessi – che lega a doppio filo Mosca con le altre nazioni dell’Occidente.

E d’altronde, lo stesso Obama che adesso sta abbandonando il sogno di forgiare un nuovo partenariato con la Russia (ricordarsi di quando ne aveva sponsorizzato l’entrata nel WTO, per esempi a proposito), si è visto comunque costretto a tenere in piedi determinati asset. I viaggi di truppe e attrezzature avanti e indietro per l’Afghanistan, continuano a passare (inevitabilmente, o quasi) per il territorio russo. Gli astronauti dei due paesi, sono attualmente in orbita insieme nella Stazione Spaziale Internazionale. I programmi di disattivazione dei vecchi sistemi di armamento sono tutt’ora in corso, così come le ispezioni nell’ambito del rinnovato Trattato START (New START, firmato nel 2010). L’Air Force americana continua a comprare i motori dei missili dalla Russia e soprattutto i due grandi tavoli di dialogo internazionale – guerra in Siria e nucleare in Iran – vivono (per quel che possono, soprattutto il primo) dall’incontro delle due super potenze.

Non c’è un vincitore, soprattutto a breve raggio, in questo Risiko tremendo – visto che è ormai opinione concorde, che le azioni di Putin avranno una ripercussione negativa sul lungo termine.

Nel breve, zar Vlad sembra avere in mano il pallino della situazione: ma sembra, solamente. E forse Putin sta fornendo un’arma in più ai suoi avversari: sé stesso. Le tattiche e le tecniche adottate fin qui, hanno avuto apparentemente i propri effetti – la Crimea è stata annessa, nella fascia orientale ucraina si può solidamente pensare al ripetersi della Grande Russia, al limite. Ma nei fatti, Mosca sta perdendo: di faccia, di credibilità, di autorevolezza. Praticamente l’opposto del risultato sperato – essere temuti e rispettati, diciamo così. Lo dimostra la fuga di capitali – che secondo stime si aggira tra i 50 e i 70 miliardi di dollari -, così come la timidezza degli investitori internazionali. Il rating della già precaria economia russa – che non aveva certo bisogno di una crisi geopolitica per andare in recessione – è stato declassato ad un passo dal junk. L’isolamento all’interno dell’Onu, ha portato alla luce gli unici amici rimasti a Putin, e non si parla certo di ottime compagnie: Siria, Corea del Nord, Sudan, Nicaragua, Venezuela, sono gli unici appoggi incondizionati, che il presidente russo riceve. Allontanato dai posti che contano, vive ormai soltanto dell’appoggio interno – come godeva Hitler, d’altronde, «in nome della tutela dei tedeschi», è stato scritto da Anna Zafesova sulla Stampa.

Il futuro russo, non troppo lontano, è l’autarchia: ma il rischio enorme è di una nuova cortina di ferro, per un’economia che vive di esportazioni (soprattutto sul tema energia) e per una popolazione – soprattutto di classe media – che si era abituata ai piaceri occidentali, agli acquisti di Sloane Street, agli studi negli atenei mondiali più prestigiosi, alle vacanze lontane dalle acque crimeane tardo ottocentesche.

Certo, la vittoria di Putin – e la sconfitta dell’Occidente – è stata sull’interruzione del corso della storia. Togliere la monopolarità al mondo. E per certi aspetti, eliminare il concetto di globalizzazione, di interdipendenza tra tutte le nazioni: Putin ha riportato sulla scena, divisioni di ordine mondiale, cercando di magnetizzare sul polo russo le istanze contrarie alle regole occidentali. Il prezzo di questo passaggio è mostruoso: il rischio è un nuovo conflitto mondiale, è chiaro.

Fortunatamente per il momento, il voto sulla Crimea alle Nazioni Unite, ha dimostrato il fallimento di questo genere di piano: e di nuovo torna la questione di credibilità – della Russia e di Putin, appunto. Perché se è vero che i centri di interessi diversi sono numerosi, la Russia non sembra avere le referenze per attrarre intorno a sé un fronte alternativo. Anzi, in questo, le azioni in Ucraina hanno giocato all’opposto – e l’aurea del presidente, non è di certo dorata.

Tuttavia, quello che si teme, è che la crisi ucraina abbia aperto spazi a scenari diversi dagli attuali: con il rischio di trasformarsi in un critico precedente.

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