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Da Monti a Renzi, la storia inutile delle consultazioni pubbliche

In principio fu il governo di Mario Monti. Spronato dalla portavoce filo-europeista Betty Olivi, il Premier tecnico si inventò le consultazioni pubbliche per chiedere agli italiani cosa ne pensavano di scuola, agenda digitale e spending review. Buone le intenzioni, un po’ meno la realizzazione. Alla fine dei 18 mesi di Monti rimasero 11 consultazioni pubbliche, una diversa dall’altra per durata, approfondimento ed esito. Rimase anche la scomoda eredità del Dialogo con il cittadino. Il primo tentativo di democrazia partecipativa mai sperimentato in Italia. E per ora anche l’ultimo, visto che i successori hanno pensato bene di disfarsene.

E infatti con il governo delle larghe intese si pensò bene di proseguire solo con l’esperienza delle consultazioni. Facendo però le cose in grande. Sotto il controllo del Ministro delle riforme Gaetano Quagliariello si creò una piattaforma unica per le consultazioni: partecipa.gov. E la si sperimentò subito con la mega-consultazione sulle riforme istituzionali. Un tentativo poco riuscito di dilatare i tempi di una discussione che stagnava in Parlamento, con un governo mediocre dilaniato da faide interne e correnti. Prima di essere cacciato da Palazzo Chigi Enrico Letta riuscì a benedire un secondo tentativo, tutto dedicato a Destinazione Italia, il fantomatico piano per attrarre investimenti. Questa volta per paura di non fare in tempo ai Ministeri degli esteri e dello sviluppo si inventarono una consultazione lampo. Pochi giorni di tempo per partecipare e ancora meno per pubblicare i risultati. Tant’è che più di uno storse il naso pensando a un intervento tarocco.

E veniamo ai giorni nostri. Per la verità nei 2 mesi di Renzi al governo in pochi sono sicuri di aver capito che intenzioni abbia l’ex sindaco di Firenze sull’argomento (come su molti altri). A pochi giorni dall’insediamento, tra una slide e l’altra, ha proposto l’indirizzo scriviamatteo@governo.it. Inizialmente sembrava fosse aperto a tutti, poi divenne uno strumento di consultazione dei Sindaci d’Italia. Poco dopo comunque è scomparso senza lasciare traccia. Poco male perché di li a poco il Premier, in conferenza stampa per spiegare la nuova spending review, ha annunciato una nuova consultazione pubblica sul tema. In questo caso copiata spudoratamente dal Governo Monti.

Evidentemente qualcuno a Palazzo Chigi deve esserselo ricordato e così anche questa sparata è caduta nel vuoto. Non troppo a lungo però. Perché il Premier è tornato di nuovo sul tema in occasione della conferenza stampa per presentare la riforma della pubblica amministrazione. Per paura di dover giustificare lo slittamento di una “lista della spesa”, come l’ha definita Oscar Giannino, a dopo le elezioni, ha annunciato un nuovo indirizzo email, rivoluzione@governo.it, e ha chiesto nuovamente agli italiani di pronunciarsi. Nel frattempo Dagospia ha svelato un bando interno a Chigi per reclutare 10 risorse dedicate a rispondere alle lettere dei cittadini.

Non è chiaro chi risponderà alle lettere degli italiani, se qualcuno ci dirà quante ne sono arrivate, come sono state catalogate, con quali argomenti e con quali motivazioni si è risposto (se è stata data una risposta). È chiara per ora una cosa sola, anzi due. Che da Monti a Renzi la democrazia partecipativa è ancora l’ultima ruota del carro, usata all’occorrenza delle esigenze del momento. E soprattutto che Renzi non ha ancora capito bene che farsene. LA rivoluzione, per ora, sembra averla solo in testa.

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