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Vi spiego perché solo stracciando il Fiscal Compact l’Europa si salverà

Grazie all’autorizzazione di Class Editori, pubblichiamo il commento di Domenico Cacopardo uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi

Secondo l’ultimo sondaggio Ipsos, la percentuale delle astensioni, il 25 maggio, raggiungerà il 40%. Confrontando questo dato con altre valutazioni, la forchetta dell’astensionismo è tra il 32% e il 40%. Sempre secondo Ipsos il Pd è al 34,7%. Rapportato a un 35% di non votanti, rappresenta il 22,55% degli elettori. Grillo è al 23,7%, quindi al 15,4% degli elettori. Forza Italia è al 19,3% corrispondente a un 12,54%. Lega, Fratelli d’Italia e Tsipras totalizzano un 12,3% pari al 7,99%.

La rappresentazione quotidiana messa in scena dai soliti, vecchi e rottamandi conduttori di talk-show trascura il dato e la presa reale dei cinici politicanti in circolazione che annunciano, per esempio, la conquista della maggioranza disponendo di un modesto 15,4%.

LA DISAFFEZIONE ALL’EURO

Queste elezioni, in effetti, sono sentite, in tutto il continente, come un referendum sull’euro e sullo stato dell’Unione. Sulla base di questa constatazione, possiamo ritenere che il 35% degli elettori, che, a oggi, non intende votare, è disaffezionato e, quindi, contrario all’euro. A esso va aggiunto il 15,4% di Grillo e il 7,99% degli altri antieuropeisti. Con tutte le riserve che valutazioni del genere impongono, si può dire che, sul totale dell’elettorato, i non sostenitori dell’euro ammontano al 58,39%. Una chiara maggioranza, che rimarrebbe tale anche se l’astensionismo scendesse al 30%.

UN SENTIMENT DIFFUSO

A Berlino, a Francoforte, a Bruxelles (non a caso ho posto Berlino e Francoforte prima di Bruxelles), a Roma qualcuno dovrebbe interrogarsi su questi numeri e, soprattutto, sul sentiment che non è solo italiano, ma riguarda tutta l’Europa, con particolare gravità nel Sud. È vero che questo Sud, nel quale si addensa la maggior parte dei problemi, non ha né una chiara leadership (la Francia è legata al carro tedesco senza sì e senza ma) né una coerente politica. L’imberbe Renzi dovrà giocarsi un ruolo europeo nei sei mesi di presidenza italiana. Visto il suo approccio nazionale c’è da dubitare che possa conquistare una vera e sostanziosa visibilità, data la scarsa sostanza.

È altrettanto vero che dalla Commissione che verrà occorreranno segnali di maggiore attenzione rispetto alla diversità economiche, sociali e politiche delle nazioni associate.

UN PARAGONE

Per dare l’idea, basta un semplice paragone. Abbiamo un velocista (la Germania) come Bolt che corre i cento metri in 9” e 58 decimi. L’Unione europea e l’autorità monetaria hanno decretato che tutti i paesi corrano alla medesima velocità di Bolt. Insomma, un task impossibile e demenziale. Tanto è vero che le strettoie di bilancio e di investimento non hanno prodotto altro che il permanere di una recessione deflattiva come non si era mai vista nella storia.

LA VIA DEL REALISMO

A questo punto, non ci sono molte scelte: l’unica via possibile è la via del realismo, cioè l’abbandono tout-court del Fiscal compact, irresponsabilmente firmato dall’Italia per mano di Mario Monti, la revoca dell’obbligo costituzionale di pareggio del bilancio e la definizione di un percorso ragionevole (comunitario) di risanamento e uscita dalla crisi. L’alternativa è una sola: il crollo dell’Unione e la fine dell’euro. Le tragiche conseguenze sono ampiamente note, soprattutto per un Paese come l’Italia che deve gestire un immenso debito pubblico.

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