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Difesa, perché è sciocco rottamare la storica unità bipartisan

Questo intervento è stato pubblicato oggi sul quotidiano Europa

Se è vero che il tema delle riforme costituzionali non è mai stato davvero un terreno di confronto bipartisan fra i partiti, almeno negli ultimi lustri, è altrettanto innegabile che sulla politica di difesa e sicurezza nel tempo si è registrata una maggioranza ampia ed una continuità di fatto. Nonostante alla guida del ministero di via XX settembre si siano succedute personalità diverse fra loro, da Arturo Parisi a Ignazio La Russa, l’indirizzo strategico non è mai stato oggetto di una significativa discontinuità. Anche durante i governi di centrosinistra dai numeri traballanti, ogni volta che il Parlamento si è espresso sulle missioni militari all’estero i voti dell’opposizione non sono mai mancati. Nessuno si è mai scandalizzato o neanche evidenziato il dato semplicemente perchè è normale che una grande democrazia si presenti unita laddove si discute della sua difesa e della sua proiezione internazionale.

Anche questa tradizione rischia di essere superata dalla tentazione di fare delle spese militari un nuovo fronte di match all’insegna della faziosità. La scelta è evidentemente politica e pienamente legittima. Proprio per questo però vale la pena entrare nel merito del dibattito e provare a tenere in conto i valori in discussione, che vanno ben oltre i singoli programmi delle forze armate. Il gruppo Pd alla Camera rappresenta la maggioranza per effetto del premio di maggioranza attribuito dalla legge “Porcellum”. Sebbene il partito sia il primo per consensi, è lontano dal rappresentare il 51% degli italiani. Il fatto poi che al Senato non vi sia una condizione analoga di maggioranza parlamentare, rende evidente che ogni decisione unilaterale presa in solo ramo dell’assemblea ha solo un valore simbolico (elettorale, temiamo). Lo strappo sulla difesa è ancora più cocente perchè il ministro competente, la piddina Roberta Pinotti, è impegnata in una continua mediazione volta a trovare concretezza in un Libro Bianco che sarà consegnato entro la fine dell’anno. Senza bisogno di aggiungere che, senza soffocare le competenze parlamentari, esiste un organo di rilievo costituzionale quale il Consiglio Supremo di Difesa presieduto dal Capo dello Stato le cui considerazioni non possono essere trattate come se provenissero da un soggetto clandestino.

Rispetto ai contenuti, va aggiunto che già il ministro Di Paola era intervenuto sia nella riduzione del programma relativo agli F35 che nella riorganizzazione delle forze armate, con l’obiettivo di ridurre le spese ed aumentare l’efficacia dello strumento militare. Tutto si può fare e la sovranità del Parlamento è inviolabile. La frenesia però di incidere sulla difesa a tutti i costi, e dopo che Renzi aveva già voluto tagliarne il budget nel decreto sugli 80 euro, è incomprensibile se abbiamo la consapevolezza che abbiamo già mandato un nuovo seppur piccolo contingente militare all’estero (in Centrafrica) e che la stessa Pinotti ha parlato della possibilità di una presenza italiana in Ucraina piuttosto che in Libia. La moltiplicazione dei focolai di crisi regionali ai confini dell’Europa non può lasciarci irresponsabilmente indifferenti e lo stesso richiamo alla difesa europea non può essere un alibi, essendo in sostanza la premessa – per l’Italia – di nuovi e maggiori oneri.

Insomma, in questo momento storico può essere utile mettere in discussione tutto e anche la difesa del Paese ma allora se ne discuta con trasparenza dentro e fuori le Aule e non in riunioni di partito. Una politica di sicurezza bipartisan è uno dei pochi valori che forse ha poco senso rottamare.

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