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Non solo Robledo e Bruti, tutte le magagne del pianeta giustizia

Fino a poche settimane fa rivendicare l’appellativo di “garantista” provocava l’accusa di appoggiare Silvio Berlusconi e il suo entourage coinvolti nelle bufere giudiziarie, e favorire in maniera inconsapevole le ragioni dell’impunità. Forse il clima da tifoseria che ha avvelenato per anni il confronto sul pianeta giustizia, bloccando tutti i tentativi di rinnovamento del suo funzionamento e organizzazione, è giunto a una svolta.

LA BANCAROTTA DEL PIANETA GIUSTIZIA

Un piccolo ma significativo segnale proviene dalla tavola rotonda “Malagiustizia e riforma del sistema”, promossa ieri alla Sala della Regina della Camera dei Deputati dal giornale L’Opinione. Il cui direttore Arturo Diaconale, artefice della creazione del “Tribunale Dreyfus per le garanzie e i diritti umani”, ritiene che “vent’anni di egemonia culturale giustizialista per cui il ceto politico affidava ai magistrati il compito di estirpare i mali storici del nostro paese si è rivelato fallimentare, visto l’aumento del tasso di criminalità, ruberie, corruzione”.

Nell’attesa del progetto di innovazione preannunciato da Matteo Renzi per l’estate e a cui sta lavorando il Guardasigilli Andrea Orlando, è bene ragionare su temi quali la responsabilità civile e disciplinare delle toghe, il meccanismo di elezione e il ruolo del Csm, il potere delle correnti nella magistratura associata, l’obbligatorietà dell’azione penale.

UNICA STRADA CAMBIARE LA CARTA

Temi, che accanto alla separazione delle carriere tra giudice e pubblico ministero, all’eliminazione degli incarichi extra-giudiziari delle toghe, alla riduzione del ricorso alla detenzione preventiva, all’abrogazione dell’ergastolo, costituivano il cuore delle proposte referendarie promosse nel 2013 dai Radicali, fallite per mancato raggiungimento delle firme. Una sconfitta irrimediabile a giudizio del senatore liberale del Nuovo Centro-destra Luigi Compagna.

Il quale reputa non percorribile un intervento legislativo ordinario in un Parlamento caratterizzato in buona parta da formazioni ostili alla riforma. L’unica strada, spiega, passa per una revisione costituzionale delle regole riguardanti l’obbligatorietà dell’azione penale, le carriere e i ruoli dei magistrati giudicanti e inquirenti. Ma per realizzare un’iniziativa così ambiziosa, è necessario “sfidare la corporazione aggregata delle toghe e dei pubblici ministeri spinti dall’aspirazione per il potere”.

SFOLTIRE LA SELVA DI NORME PENALI

Argomentazioni che trovano ascolto nel ragionamento di Stefano Amore, giudice del Tribunale di Ferrara, già sostituto procuratore della Repubblica a Reggio Calabria a lungo impegnato sul fronte della cyber security con un’intensa esperienza all’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia e al Tesoro.

Rappresentante di spicco della componente “moderata” Magistratura indipendente, che pesa per il 30 per cento nell’universo associativo delle toghe, Amore rileva come nessun Parlamento e governo abbia tradotto in realtà misure come l’introduzione di un collegio di giudici per prendere le decisioni sulla custodia cautelare al posto dell’odierno giudice monocratico.

A riprova, osserva, di un mondo pervaso da una selva sterminata e poco comprensibile di norme e reati penali, in gran parte destinati a cadere in prescrizione. Al contrario di quanto avvenuto nel Regno Unito, anche grazie all’opera dell’unico ufficio legislativo che fa capo al premier e ha la competenza a redigere i progetti di legge da presentare in Parlamento.

IL PARADOSSO DEL GIUSTIZIALISMO

Per promuovere una simile innovazione legislativa bisogna però procedere a un salto di qualità politico-culturale. Almeno agli occhi di Piero Sansonetti, direttore del settimanale Gli Altri e fondatore del giornale Cronache di Liberal. Il Garantista, che sarà presto in edicola con l’aspirazione di riportare le battaglie di civiltà giuridica nell’alveo progressista. Finora, rimarca il giornalista, il garantismo ha rappresentato a fasi alterne un orizzonte di parte, a salvaguardia di una componente politica ben precisa.

Rendendo impossibile una complessiva riforma del pianeta giustizia in un’Italia che ha cambiato spesso in svariati campi, dall’università e scuola alla previdenza, dalla legge elettorale al finanziamento dei partiti. E ha tolto cittadinanza alla messa in discussione del reato di concorso esterno in associazione a delinquere o del regime penitenziario previsto dal 41 bis, “vera e propria legalizzazione della tortura”.

Così oggi – precisa l’ex vice-direttore dell’Unità – il potere giudiziario, grazie a una delega silenziosa della politica che ha rinunciato alla propria autonomia, rappresenta la più formidabile garanzia dell’assetto capitalistico italiano. E ha rafforzato tale ruolo saldandosi in un’alleanza profonda con i grandi giornali, come accadde nella stagione di Mani Pulite.

RISCOPRIRE IL GARANTISMO DI SINISTRA

È per tale ragione che Sansonetti esorta ad abbandonare interessi e convenienze temporanee per puntare con spirito controcorrente verso “larghe e alte intese su un cambiamento di modernità nel senso del diritto e della democrazia”. Andando oltre i recinti di classe e di gruppo, superando l’ottica “di destra” della riforma della giustizia, inevitabilmente connessa alla difesa di Silvio Berlusconi dai suoi giudiziari.

La strada da percorrere passa a suo avviso per il recupero del filone garantista “di sinistra”, legato a figure della storia del Partito comunista come Umberto Terracini, Fausto Gullo, Gerardo Chiaromonte, o presente nell’esperienza del Partito socialista: “Perché non basta l’azione coraggiosa e personale portata avanti da Marco Pannella”.

AMNISTIA SILENZIOSA

L’importante, precisa il presidente dell’Unione Camere penali Valerio Spigarelli, è rinunciare a blandire la magistratura e avere il coraggio di affrontarla di petto. Già nella prima Repubblica, ricorda il legale, numerosi esponenti della Democrazia cristiana mettevano in guardia dai tentativi di riformare la macchina della giustizia e l’ordinamento giudiziario per timore di contraccolpi politici. “E una paura analoga bloccò il progetto innovatore messo a punto da Angelino Alfano quando ricopriva il ruolo di Guardasigilli nell’ultimo governo Berlusconi”.

Il risultato, evidenzia il penalista, è un’occupazione pervasiva delle toghe nei gangli strategici dell’attività ministeriale e legislativa. Fattore che “contribuisce all’amnistia silenziosa, quotidiana, persistente, incontrollata, di migliaia di processi destinati ogni anno alla prescrizione. Il tutto a fronte del clamore e della rapidità mediatica di poche vicende giudiziarie, fonte di notorietà per taluni magistrati protesi a trasformare le aule di giustizia in tribunale etico”.

SOGNO IMPOSSIBILE?

L’altro effetto di un simile degrado della civiltà giuridica è l’annacquamento della consapevolezza e della salvaguardia delle libertà individuali. È tale constatazione che spinge Spigarelli a nutrire un sogno: “Un’Italia in cui la destra tuonerà contro le torture inflitte ai manifestanti del G8 di Genova, e la sinistra denuncerà il regime del 41 bis o l’abuso delle intercettazioni”.

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