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Top gun nei cieli del Mar Cinese Meridionale

Domenica le autorità cinesi e giapponesi hanno segnalato “comportamenti pericolosi” a danno reciproco delle rispettive aviazioni.

I fatti, più o meno: sabato due SU-27 Flanker cinesi (a quanto pare impegnati in esercitazioni congiunte con la Russia), sarebbero arrivati a 50 metri di vicinanza da un P-3B Orion giapponese in missione di sorveglianza. Successivamente, i caccia cinesi (in foto) armati da battaglia, hanno preso nel mirino un altro aereo giapponese: un apparecchio da intelligence YS-11EB, a cui i due Flanker si sono avvicinati addirittura sotto i 30 metri.

Non è oggettivamente chiaro se gli aerei nipponici si fossero mossi in violazione dello spazio aereo, o se i top gun cinesi si siano lasciati prendere un po’ troppo la mano dalla “supremazia aerea” – sono andati «over the top» ha commentato il ministro della Difesa Itsunori Onodera.

L’episodio è accaduto sopra agli isolotti che i giapponesi chiamano Senkaku e i cinesi Diaoyu, oggetto di contesa e rivendicazioni reciproche. Proprio lo scorso novembre, la Cina aveva fatto sapere della designazione di una fascia di difesa aerea sopra queste isole (e su buona parte del Mar Cinese Meridionale): circostanza che alza il livello di allerta su vicende del genere.

La Cina è accusata dal Giappone – ma anche dalle altre contendenti regionali, come Filippine, Vietnam, Thailandia, Taiwan, Malaysia e Indonesia – di aver intrapreso una campagna per l’acquisizione dei diritti in quelle zone di mare, basata sull’aggressività bellica.

La tensione nell’area, è aumentata sensibilmente nelle ultime settimane, culminate con la decisione di Pechino di riprendere i lavori di una piattaforma petrolifera, in acque rivendicate anche dal Vietnam – tensioni sfociate con le proteste contro i cinesi e gli attacchi in varie regioni vietnamite ad aziende di Pechino.

Qualche settimana fa, il ministero degli esteri filippino ha accusato la Cina di portare avanti attività di bonifica e modellazione dei terreni su un isolotto conteso: secondo il foreign office di  Manila, si trattava di attività di preparazione per la costruzione di una pista d’atterraggio. Sempre in questo mese, sono state pubblicate diverse foto su Twitter che testimoniano la militarizzazione cinese in alcuni di questi isolotti disabitati.

Le acque del Mar Cinese sono oggetto di disputa regionale, sia perché sui fondali si stima la presenza di circa 7 miliardi di barili di petrolio, e 500mila metri cubi di gas naturale (qui una tabella riassuntiva dei giacimenti e una mappa dei confini). Lo sfruttamento di questi giacimenti è diventato di primaria necessità per la Cina (ma anche per altri paesi dell’area), come sostegno ai forti ritmi di crescita.

Inoltre queste vie del mare – che sono anche ricche per la pesca – rappresentano le rotte strategiche per i traffici marini verso l’Oceano Indiano, il Golfo Persico e il Mediterraneo, delle principali nazioni asiatiche. Il 50 per cento delle petroliere del mondo, passa per il Mar Cinese Merdionale – praticamente il triplo del traffico nel Canale di Suez e cinque volte quello di Panama. (La Cina importa il 70 per cento del petrolio, il Giappone il 90, dal Golfo Persico).

@danemblog

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