Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Jürgen Stark, ex falco della Bce, spiega perché la crisi in Europa non è finita

Mentre i cittadini dell’Europa apprendono come si comporrà il nuovo Parlamento dell’Unione e il fronte anti-euro avanza si afferma in Grecia, ma anche in Francia e avanza in Regno Unito e tuttosommato anche in Italia, un vecchio nemico giurato di Mario Draghi e della sua politica economica super-espansiva parla di ripresa – che non c’è.

La visione dell’ex falco della Bce
Jürgen Stark, l’ex capo economista delle Bce che il 9 settembre del 2011 rassegnò le dimissioni a Jean-Claude Trichet, dopo essersi scagliato contro il programma di acquisti di titoli di stato dei periferici, ha descritto il futuro economico del Continente al convegno sul credito fisso organizzato dalla banca d’affari Usa Bny Mellon, a Parigi.
“La crescita del Pil dell’area euro si terrà tra lo zero e lo 0,5% fino al 2016 – dice Stark – ma finalmente è guidata dai consumi interni, che hanno ripreso a crescere all’inizio di quest’anno. Nel contempo mi aspetto che l’inflazione cresca gradualmente nei mesi a venire sino a un livello dell’1,7%”. Al momento non c’è un rischio di deflazione strutturale, ma solo una deflazione buona che ben si associa alla “fiducia dei consumatori che sta aumentando e un livello stabile o in lieve declino dei prezzi in realtà li spinge a spendere di più”.

Diminuisce il costo del lavoro

Le buone notizie non sono finite. “Il costo unitario del lavoro è aumentato per dieci anni a partire dal 2000 – continua l’economista – quindi c’è stata una correzione. Con due eccezioni significative: Italia e Spagna”. In Italia il costo unitario del lavoro continuerà a crescere fino al 2015: e arriverà a quota 140, fatto pari a 100 il valore del 1999.

Si torna al 2007, ma è sufficiente?

Dunque la crisi è finita? Non secondo Stark. “Il discorso di Mario Draghi del 2012 ha avuto un effetto enorme sulla crisi – commenta l’ex falco della Bce – l’indice che misura la probabilità di default implicita nei Cds è tornato oggi a livelli normali. Ma cosa significa normale? Era normale, forse, il livello pre-crisi?”. Insomma, che nessuno canti vittoria. “Se la crisi è finita, perché la crescita in Europa è così bassa, soprattutto rispetto a Usa e Regno Unito? Tutte le economie avanzate sono state colpite dalle stesse turbolenze. La differenza nell’andamento della ripresa non deriva da fattori macroeconomici, ma dal più lento progresso nella riduzione dell’indebitamento e della sovracapacità. E mancano riforme strutturali coraggiose”.

Il pallino delle banche

Tassi di crescita del Pil nominale non supportati da incremento dell’economia reale non sono più sostenibili. Come non è più possibile rimandare la questione del miglioramento dei coefficienti patrimonilai delle banche e il 2014 sarà cruciale per creare un Unione Bancaria credibile. “Dopo il fallimento di Lehman Brothers, le autorità monetarie hanno deciso di evitare a ogni costo un disastro simile in Europa – conclude Stark – Ma l’approccio è stato ben diverso rispetto a quello degli Usa. In America i casi di aiuti statali alle banche, con l’eccezione delle garanzie, si sono concentrati esclusivamente nel 2008-2009. In Europa gli aiuti sono iniziati nel 2008, sono tuttora in corso e hanno toccato un picco nel 2010-2011. Però negli Stati Uniti sono fallite 450 banche. In Europa, solo 50. Le politiche europee impediscono la fuoriuscita degli istituti dal mercato”.
E forse questo non è un bene.

CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter