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Vi spiego perché Boldrin, Tabacci e Giannini hanno fatto sboom. Parla Oscar Giannino

Grazie all’autorizzazione dell’autore e dell’editore, pubblichiamo l’intervista di Giovanni Bucchi pubblicata sul quotidiano Italia Oggi.

Poco meno di 200mila voti, pari a un misero 0,71%. Il disastroso risultato di Scelta Europea alle urne di domenica scorsa è innegabile. Il cartello elettorale composto da Fare, Scelta Civica e Centro Democratico ha clamorosamente fallito, e adesso si apre il dibattito se possa e debba esistere o meno un soggetto politico in grado di rappresentare quell’elettorato liberaldemocratico che secondo il giornalista e fondatore di Ali (associazione liberaldemocratica), Oscar Giannino, può arrivare fino al 15%.

Giannino, il leader di Fare, Michele Boldrin, ha detto che Scelta Europea ha fatto schifo e che vuole tornare negli Stati Uniti.

I risultati di Scelta Europea parlano chiaro. Però non sono per niente contento che Boldrin torni negli Stati Uniti e spero che cambi idea, perché c’è bisogno di una vastissima cooperazione di teste e di una profonda riflessione su come parlare al Paese. Insomma, il cammino è molto complicato a causa degli ultimi vent’anni nei quali le politiche liberali sono state annunciate ma poi s’è fatto l’esatto contrario. Capisco l’amarezza per il risultato terribile, ma la mia esperienza dice che non bisogna desistere.

Ha ragione la politologa Elisabetta Gualmini? Il Pd renziano ha prosciugato Scelta Civica?

Questa tesi posso condividerla, non condivido il corollario che la Gualmini ha aggiunto, sostenendo che il centrodestra non è poi messo così male. Tornando al primo ragionamento, in un quadro di fortissima astensione, è vero che l’elettorato borghese e riformatore riconosciuto in Scelta Civica è di quelli che meno facilmente sta a casa dalle urne, quindi non mi sorprende che di fronte a un’offerta elettorale fatta all’ultimo secondo e non ben caratterizzata, allo stringersi dell’agone politico si sia scelto Renzi.

Ma c’è ancora spazio per una forza liberaldemocratica?

La mia analisi è la stessa dal 2011, quando s’è verificata quella che ritengo la crisi finale di Berlusconi. C’è fino al 15% di elettorato, come si è visto alle politiche del 2013, potenzialmente interessabile a un’offerta politica di tipo liberale, liberista, riformatore e di mercato. Dipende però da come metti in piedi il soggetto chiamato a rappresentare quest’area, da come caratterizzi l’azione politica e dal tono con cui parli alla gente. Deve essere una cosa nuova, non parlo di nuovismo perché vanno bene anche i sessantenni, ma non facce che circolano nella vita politica da vent’anni”.

Dovreste urlare come Grillo?

Non dico questo, Però quest’area politica è avvertita come algida, fredda, tecnica, arrogante. L’Italia in questi anni si è incamminata in una tale sofferenza sociale in cui per parlare ai professionisti, agli autonomi, alle partite Iva e agli imprenditori, i più dannatamente colpiti dalla crisi, devi essere ematico, caldo, fortissimo nelle proposte e contemporaneamente non arrogante. Non devi sembrare uno che parla a nome dei grandi equilibri della finanza.

Il voto liberale e riformatore si è spostato su Renzi anche per arginare Grillo?

Ho avuto l’impressione che nelle ultime due settimane di campagna elettorale Grillo e Casaleggio si siano resi conto che c’era qualche margine di errore da quando Grillo ha iniziato a straparlare su Hitler e via dicendo. È evidente che la partecipazione nel salotto di Vespa era una manovra per fare pace con gli italiani. Detto ciò, più che un effetto paura che ha spostato consensi verso Renzi, credo in un effetto delusione. Dopodiché, la rilevanza della sconfitta dei 5 Stelle dipende solo dall’alterigia dei loro toni, con più del 20% solo un matto può pensare a una sconfitta.

Voi di Ali non avete sostenuto direttamente Scelta Europa. Cosa intendente fare?

Ci siamo dati un compito, quello di mettere fuori idee. Ora serve un percorso di contenimento delle delusioni e dell’effetto classico italiano del ‘si salvi chi può’. Poi, chi fa politica direttamente, deve capire nel giro al massimo di qualche mese, chi è disposto a riprendere la difficile strada di costruire una convergenza liberale. Dipende anche da cosa faranno i gruppi parlamentari di Scelta Civica, da cosa farà Corrado Passera, anche dagli sviluppi del centrodestra. Noi continuiamo a stimolare idee, a spiegare che il Governo Renzi sulle riforme è solo agli annunci, a tenere alta l’attenzione sui difetti del centrodestra, ma tenendo conto che si è reduci da una sconfitta elettorale. Quando non si hanno i voti ma solo le idee non ti puoi permettere di apparire e intervenire con il ditino alzato.

Ha parlato di Passera. Da settimane imperversa sui giornali proponendosi per le primarie del centrodestra. Che ne pensa?

Guardo con attenzione alle sue proposte, è una persona molto intelligente e sa di avere delle difficoltà nella percezione del vasto pubblico italiano per la sua prima attività di banchiere e anche per l’operazione Alitalia sulla quale sono sempre stato molto critico. Detto ciò, bisogna veicolare meglio le sue idee e lavorare sui territori, mettere insieme la gente, perché non si riparte da un leader autodichiarato. Se lui chiede le primarie del centrodestra convinto di venire riconosciuto da Berlusconi come un pezzo interno, questo significa che lo fa con l’idea di tornare al massimo a fare il ministro. Se invece la richiesta è fatta per sottolineare il difetto costitutivo della leadership del centrodestra berlusconiano, sapendo che la risposta non sarebbe soddisfacente e potendo così dire almeno di averci provato, allora è un altro discorso. Non credo che Passera voglia essere un pezzo aggiuntivo del centrodestra berlusconiano.

A proposito, cosa ne pensa del dibattito sulle primarie del centrodestra?

Al sindaco di Pavia, Cattaneo, da anni dico che deve alzare la testa e chiederle. Chi è dentro al centrodestra fa benissimo a portare avanti questa battaglia, quando la Meloni ha iniziato a volere le primarie aveva perfettamente ragione. Ma la realtà ha già dimostrato che su questo punto Berlusconi inizierà a sentirci soltanto il giorno dopo di avere deciso di mollare. E quel giorno non è ancora venuto.

Ma lei, Giannino, ha votato a queste elezioni europee? E per chi?

Ho votato in coerenza, come sempre cercando l’offerta politica con la minore distanza dalle mie idee, anche se l’ho fatto alle 22.45.

Perché così tardi? Voleva astenersi?

Mi aveva un po’ irritato l’appello reiterato del Quirinale a votare contro i populismi, perché credo che un Capo dello Stato queste cose non le debba dire, non debba bollare in questo modo i partiti, e credo inoltre che l’astensionismo sia comunque un’opinione. Ho riflettuto molto domenica, sapendo che il mio voto non avrebbe contenuto più di tanto un danno imminente. Ma alla fine ho votato.

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