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Ecco quanto vale e dove si trova il tesoro degli evasori spiattellato da Nunzia Penelope

C’è un capitale che sfugge a qualunque controllo e a qualunque fisco. Alberga nei paradisi fiscali e provoca una sottrazione di risorse inarrestabile che sta mettendo in ginocchio l’economia. È il colossale “furto planetario” che Nunzia Penolope, giornalista che collabora con Il Foglio, Il Fatto Quotidiano e Il Diario del lavoro, racconta nel suo libro “Caccia al tesoro”, edito da Ponte alle Grazie, di prossima uscita.

COSA ABITA I PARADISI FISCALI
Penelope ha attinto a documenti e fonti del Fondo Monetario, Banca Mondiale, Ocse e altri istituzioni internazionali, per lo più inediti in Italia, grazie ai quali ha ricostruito nel dettaglio cifre, dati, ma anche nomi e cognomi dei protagonisti che alimentano l’economia dei paradisi. In essi si muove oltre un terzo di tutta l’economia mondiale: circa 30 mila miliardi di dollari, il doppio della ricchezza prodotta ogni anno dagli Stati Uniti o dall’Europa, venti volte quella prodotta in Italia. Un “buco nero”, all’interno del quale c’è di tutto: le tangenti della corruzione, i proventi dell’evasione fiscale, il business del crimine ma anche le ricche plusvalenze delle grandi multinazionali.

VENT’ANNI DI LAVORO
Le cifre sono impressionanti: “Il PIL dell’Italia è circa 1500 miliardi di euro annui: nei paradisi fiscali ci sarebbe quindi, grossomodo, l’equivalente di vent’anni della nostra ricchezza nazionale. Vent’anni di lavoro e di stipendio di tutti i nostri lavoratori, di prodotto di tutte le nostre fabbriche e aziende, di tutte le attività commerciali, di tutti i beni comprati e venduti, di tutte le case costruite, di tutta la spesa pubblica per sanità, scuola”, si legge in “Caccia al tesoro”.

IL SILENZIO DEL GOVERNO
Ma dei paradisi fiscali non si parla: “Il governo è costantemente in cerca di soldi. Ma dei paradisi fiscali, delle enormi ricchezze che contengono, di chi le possiede, di come vi arrivano, non si parla affatto; ed è perfino inutile sottolineare che l’argomento non entra mai, nemmeno per sbaglio, nel dibattito politico italiano: da cui, piuttosto, sono ormai usciti anche i termini evasione fiscale e corruzione”, scrive Penelope.

OFFSHORE
Ma quello che viene banalmente definito “offshore”, spiega l’autrice del volume, è tutt’altro che un agglomerato di paradisi esotici indipendenti. “È un’industria globale molto redditizia e ingegnosamente strutturata, progettata e gestita in primo luogo dalle più grandi banche del mondo, da una miriade di studi legali e società di revisione contabile dai nomi prestigiosi, con base a New York, Londra, Ginevra, Francoforte, Milano”.

ITALIA CAMPIONE DI EXPORT ILLEGALE
Il volume mostra l’eccellenza del nostro paese nell’export illegale di capitali. I dati sono quelli della Banca d’Italia: con lo scudo fiscale del 2010 sono rientrati 100 miliardi, ma in soli quattro anni altri 200 miliardi hanno varcato clandestinamente le frontiere.

DOVE VANNO I CAPITALI TRICOLORI
Penelope svela poi le mete preferite dei capitali italiani in fuga: Il 68% dei capitali trasferiti illegalmente si nasconde in Svizzera, seguita a distanza dal Lussemburgo (8%), e quindi da Austria, Lichtenstein, Germania, Francia, Jersey, Regno Unito, Irlanda, Stati Uniti.

LA NUOVA MAPPA DEL CAPITALISMO IN FUGA
A crescere sono anche le aziende italiane che aprono società in paesi offshore per pagare meno tasse: la nuova mappa del capitalismo in fuga ha la sua centrale in Lussemburgo, e include le big della Borsa, le principali banche, le star del Made in Italy e i nostri “campioni nazionali”, a partire dalla Fiat.

IL RECUPERO DEI CAPITALI
Voluta da Monti nel 2012, approvata da Letta nel 2013 e recuperata da Renzi nel 2014, la legge sul rientro dei capitali e il riciclaggio affonda nella palude parlamentare.
Raccontata nel volume lungo il suo percorso la legge a parole è voluta da tutti sulla cosiddetta Voluntary Disclosure, ideata per tassare i capitali esportati illecitamente e combattere il riciclaggio, viene sistematicamente impedita dalla pressione delle lobby.

LA COMPLICITÀ DEI GOVERNI
Tra i motivi che rendono difficile la guerra ai paradisi fiscali Penelope annovera la sostanziale complicità di molti governi occidentali: sono i Paesi “double face”, che da un lato condannano e dall’altro spalancano le porte ai patrimoni neri. Gran Bretagna, Svizzera, Irlanda, Olanda, Lussemburgo, Lichtenstein, offrono facilitazioni migliori delle Cayman; in America funzionano come paradisi fiscali a tutti gli effetti gli stati di Florida, Wyoming, Delaware e Nevada.

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