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Ecco i princìpi non negoziabili per un autentico centrodestra

La rifondazione del centrodestra è indubbiamente la questione più rilevante e appassionante nel dibattito politico italiano di questo periodo. Dal momento in cui, qui su Formiche.net, Lorenzo Castellani ha lanciato l’idea di Leopolda, molti interventi si sono susseguiti, generando finalmente una discussione complessiva riguardante i fondamenti ideali che potrebbero riaggregare il centrodestra.

In effetti, sia che ci si basi sulle radici popolari, sia che si voglia assumere con maggiore vigore le suggestioni della crescente destra europea, è certo, in ogni caso, che non si possa non discutere di principi, di valori. Dove trovare, altrimenti, la giusta ispirazione culturale?
Su questo fronte intellettuale, non sono mancate convergenze e anche, grazie al cielo, divergenze profonde. Un orientamento degno di nota è emerso sicuramente nell’intervista concessa a Formiche.net da Sofia Ventura. La ritengo un’opinione eloquente perché definisce bene una possibile forma politica del centrodestra, che ha tentato con FLI di realizzarsi elettoralmente sotto la guida politica di Gianfranco Fini, e che, evidentemente, costituisce, ben oltre quell’esperimento, ancora oggi un’importante traccia.

Ventura dice che l’istanza etica forte deve essere abbandonata, perché viviamo in un’epoca dove imperano le identità multiple, e che soprattutto non ha più senso evocare una nozione metafisica impegnativa come quella di “natura”, dovendosi accettare ormai come ineluttabile una forma moderata di relativismo e una modalità contrattualista di concepire la società. La sua affermazione, secondo cui “il contrattualismo precede il costituzionalismo”, è emblematica, in questo senso, ma anche fragilissima.

Io capisco, d’altronde, la profondità del contributo dato al dibattito e la specificità della linea culturale indicata, ma penso veramente che essa sia teoricamente sbagliata e inadatta alle circostanze.

Cerco di spiegarmi. E’ chiaro che oggi il centrodestra italiano si trova davanti ad un’occasione eccezionale, una specie di bivio. Con la leadership di Berlusconi al tramonto, la grande sconfitta elettorale delle Europee e l’affermarsi di Renzi nel centrosinistra, è giunto infatti il momento della rifondazione. Per attuarla si può accogliere le premesse della sinistra, contrattualismo e socialdemocrazia, oppure riaffermare con vigore i propri principi, personalismo e liberaldemocrazia.

Che fare? Io trovo convincente l’insegnamento di Wilfred E. Binkley: “Un partito nuovo costituisce inevitabilmente un’opposizione, vale si dire un partito anti-qualcosa”. E oggi il centrodestra ha davanti a sé una possibilità concreta per rinserrare i ranghi e tessere le fila della propria rinascita, opponendosi, innanzi tutto, a un progetto di potere, il renzismo, e a un’area politico-culturale, quella rappresentata dalla sinistra.

Anti-renzismo e anti-sinistra sono i due nuclei di partenza del centrodestra. Essi non possono essere abbandonati. Il primo si deve tradurre in un’opposizione giornaliera e certosina all’azione del governo. Non importa se ciò avvenga collaborando con Renzi, come fa il NCD, o rimanendo all’opposizione, come fanno tutti gli altri movimenti. Non concedere nulla a Renzi, incalzandolo con correttezza e severità, questo è l’obbiettivo prioritario.

Il secondo è organizzare il fronte anti-sinistra, chiamando in causa proprio la dimensione culturale, quella di cui si discute adesso.

E qui i limiti della posizione espressa da Ventura sono particolarmente evidenti. Prendere a prestito distinzioni come quelle disegnate da Norberto Bobbio, tra libertà ed eguaglianza, accettando già alcune delle convinzioni costitutive che stanno da sempre alla base della sinistra – individualismo, relativismo e contrattualismo, in primis – significa aver dato per scontato che la battaglia culturale è persa, assumendo che la differenza sia ormai solo di sfumatura, tale da accogliere passivamente, fin dall’inizio, il nucleo di pensiero che muove e ispira le varie formazioni mondiali che afferiscono al socialismo europeo, dal laburismo inglese fino al partito democratico statunitense.

Il cespite valoriale di questi movimenti, val la pena ricordare, non è l’uguaglianza, ma la separazione di etica e politica, ossia la scissione tra gestione del potere e realtà dell’essere umano, ormai inteso esclusivamente come massimizzazione dell’interesse individuale. Tutto ciò è caratterizzante di un certo moralismo autoritario, appunto su base individualista, presente un po’ in tutta la sinistra, contrapposto proprio all’etica liberale del bene comune.

In conseguenza di ciò, pensare di battere la sinistra sul suo stesso piano valoriale finisce per essere la matrice più debole della proposta politica di centrodestra offerta da Ventura.
Chi ha sempre sostenuto, infatti, storicamente che non esiste un dato naturale, riguardante, per l’appunto, l’essere umano? Chi ha portato avanti, contro le comunità naturali, l’idea di una fondazione artificiale e contrattuale della dimensione politica? Chi ha ritenuto che le religioni fossero l’oppio dei popoli e non dovessero avere alcun ruolo pubblico?
Ebbene proprio la sinistra.

Il centrodestra, quindi, sia pure all’interno delle sue diverse declinazioni, è quanto mai importante che si appoggi su un’idea opposta e alternativa, proponendo la comunità reale come pilastro organico della società politica e riaffermando tutti quei diritti radicati profondamente nella mentalità culturale del cittadino comune che rischiano di essere estirpati.

La politica ha il compito di conoscere le caratteristiche specifiche delle singole comunità, riportarle alla loro dimensione autenticamente umana, e rappresentarle mediante la concentrazione del consenso. Come diceva Ernst Renan, il consenso esiste, infatti, ben prima della sua modalità politica di espressione, è radicato nel cuore degli esseri umani, nella loro mentalità, nella loro libertà, ed è compito precipuo del centrodestra dargli identità, forza organizzativa e potenza politica.

Il centrodestra può incarnare di nuovo una prospettiva politica, dunque, solo se sarà in grado di basarsi su un’idea di democrazia anteriore alle forme contrattualiste di attuazione legale e costituzionale del potere, una democrazia reale e non artificiale che è identità in movimento di cittadini già uniti da un unico sentire e pensare, la quale esprime semplicemente quello che circola silenziosamente nelle nostre città, attraverso le opinioni diffuse che le persone si comunicano tra loro per strada o al bar.

Ora, se tutto questo equivalga o meno ad avere una concezione metafisica, io non lo so. Una cosa è sicura: rifondare il centrodestra vuol dire proporre una netta e chiara visione della vita e della realtà, appunto popolare e conservatrice, che non ha nulla a che vedere con il relativismo, ed è opposta diametralmente alla cultura di sinistra.

Sacralità della vita, dignità della persona, distinzione naturale del maschile e femminile, diritto originario per un nascituro alla paternità e alla maternità chiara e responsabile sono temi che non appartengono esclusivamente al retaggio culturale cattolico, ma si radicano nel cuore della civiltà occidentale, e sono la vera anima politica internazionale del centrodestra. Ogni persona non nasce come una monade senza finestre. Nasce ed è una persona, generata dalla congiunzione di due gameti, uno maschile e uno femminile, e si sviluppa in una prima società che è la famiglia, aprendosi poi progressivamente a una seconda società che è la comunità nazionale, per spalancarsi infine liberamente al mondo intero.

Se viene meno tutto questo, non viene meno solo Dio e la natura, cessa di esistere anche il centrodestra. E quello che resta è solo un velleitario liberalismo, non in grado di avere la levatura culturale per giustificare la riduzione del peso dello Stato, per opporsi al socialismo europeo e fondare un’autentica democrazia liberale, personalista e comunitaria.

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