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I miei 3 consigli per costruire il centrodestra che non c’è a partire dalle Regionali

Il direttore di Formiche.net Michele Arnese, nel suo corsivo che registra l’interessante discussione sul centrodestra aperta sul sito, solleva due questioni: i rischi di puntare tutte le carte su Matteo Renzi come uomo solo al comando e l’utilità quindi dell’esistenza potenziale di un’alternativa di centrodestra.

Sul primo punto non posso che consentire: la questione non è quella dell’esigenza di un leader, di cui l’Italia ha bisogno più che mai, ma del sistema in cui si esercita questa leadership. Senza un adeguato assetto istituzionale nazionale, alla fine qualsiasi leadership pur forte diventa subalterna a un sistema di influenze internazionali politiche ma anche economiche particolarmente invasivo nell’era dell’euro e dei mercati globali, e formidabilmente intrusivo in uno stato bucherellato come il nostro.

Alle brutte, una nazione può anche contentarsi di una democrazia senza alternative. In qualche modo così si conducono due grandi Paesi come Giappone e Messico che però grazie all’imperatore e al presidenzialismo possono godere di solidi presidi della sovranità nazionale. Ma una democrazia senza alternative e senza vera sovranità come può diventare quella renzodipendente, rappresenta un pascolo per qualsiasi potere pervasivo, a partire da quello della grande bottegaia tedesca. E in questo contesto anche l’iniziativa di un politico giovane e determinato come Renzi può impantanarsi, così come in parte si coglie sia nel suo improvvisato riformismo istituzionale sia nel suo europeismo alla giornata che fa rimpiangere Bettino Craxi: lui sì vero mediatore tra Margaret Thatcher e Helmut Kohl.

Concordo quindi sull’esigenza espressa dal direttore che persino per rafforzare la spinta riformista renziana ci sia bisogno di un robusto centrodestra. E in questo senso mi paiono utili anche alcune sue valutazioni sulla priorità che bisogna dare – per questo centrodestra costituendum – alle scelte concrete rispetto a quelle ideologiche o volontaristiche. La prima questione da cui bisogna partire è come per il centrodestra non si tratti di definire un progetto per uno “schieramento che esiste” (ed è solido): seguendo cioè le orme di un Renzi che poteva contare su un “Pd” ampiamente definito nella sua base storico-sociale e dotato di lineamenti valoriali di fondo.

In seguito allo scompaginamento prodotto dopo il 2009 innanzi tutto dalla magistratura combattente e da sistemi di influenza stranieri ma anche grazie a suoi gravi limiti ed errori, il centrodestra va ricomposto prima di essere amministrato (o illuminato). Questo processo è preliminare rispetto a un più preciso progetto politico, e richiede che si parta dalla realtà, prima che da pur preziosi disegni intellettuali o da generosi movimentismi.

Mi pare, in questo senso, che le indicazioni fornite da Raffaella Della Bianca -e in parte riprese da Michele Arnese– siano quelle giuste: lavorare per primarie di centrodestra in tutte le regioni che voteranno nel 2015, lavorare per liste civiche di centrodestra che si affianchino (talvolta integrandosi) ai partiti già organizzati, lavorare per movimenti tematici (presidenzialismo, federalismo, garantismo-anticorruzione, obiettivi di progresso anche locali e in generale antiluddistici) sui quali iniziare a unificare anche culturalmente (e valorialmente) il “centrodestra che c’è”. E tutto ciò senza mai scordarsi che la gatta frettolosa fa i gattini ciechi.

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