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Perché l’industria farmaceutica non può essere il bancomat della Sanità

Un panorama di eccellenza ricco di luci e potenzialità, aperto alle sfide più promettenti per la ripresa produttiva e il progresso scientifico. Ma il cui ruolo strategico per l’economia è frenato da troppi ostacoli di natura politico-legislativa.

È il ritratto dell’industria farmaceutica del nostro paese emerso nel corso dell’Assemblea pubblica di Farmindustria promossa al Teatro Argentina di Roma.

Una ricchezza inestimabile

Ai primi posti nel comparto manifatturiero nazionale, l’industria farmaceutica è l’unico settore che tra il 2001 e il 2013 ha aumentato il fatturato – +14 per cento – la produttività – +55 per cento – e la competitività del fattore lavoro, +12 per cento. Il volume della produzione ammonta a 28 miliardi di euro, di cui 19 derivanti dall’export che resta il più alto al mondo.

Le fabbriche presenti in Italia sono 174, coinvolgono 126mila addetti compreso l’indotto di alta qualità, e mobilitano 2,3 miliardi di euro in investimenti. Tra investimenti, tasse e retribuzioni, il valore economico dell’industria farmaceutica raggiunge 13,7 miliardi di euro. Nei prossimi 3 anni sono previste nuove risorse per 1,5 miliardi di euro – 470 milioni già stanziate – destinate a creare 2mila opportunità di lavoro per i giovani.

Una leadership mondiale

L’elevato livello di competitività internazionale è confermato da 50 acquisizioni di imprese a capitale italiano e 300 insediamenti fuori dai confini nazionali realizzati negli ultimi 15 anni nelle frontiere più innovative.

A partire dal biotech, che annovera 176 imprese e 4.658 ricercatori producendo oltre 1 miliardo di investimenti e contribuendo per il 90 per cento alla ricerca svolta in Italia, con la presenza di 110 prodotti medici biotecnologici e 403 nuovi progetti.

Per tasso di produzione il nostro paese è in Europa alle spalle della sola Germania e può diventare il grande hub farmaceutico del Vecchio Continente. Soprattutto grazie a un patrimonio umano e professionale composto per il 90 per cento da diplomati e laureati, con una presenza femminile del 44 per cento rispetto al 25 medio del comparto manifatturiero.

No ai tagli lineari

Comparto innovativo e flessibile nella ricerca e nelle relazioni industriali partecipate fondate su un “Welfare di impresa”, l’industria medica è chiamata ad affrontare nuove sfide nella cornice planetaria di fusioni e acquisizioni.

Per questa ragione, spiega il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi, è necessario difendere un asset strategico come il Servizio sanitario nazionale: “Fondamentale per promuovere una filiera di assistenza al cittadino e alle famiglie degna di un paese civile. Ed essenziale per favorire la crescita del PIL”, osserva rivolto ai fautori di tagli lineari che fra il 2006 e il 2013 hanno ridotto del 4 per cento le uscite complessive nell’acquisto di farmaci.

Acquisto dei farmaci sotto controllo

Un calo che risalta con forza rispetto a una crescita del 7 per cento della spesa sanitaria complessiva, con punte del 21 per cento per comprare beni e servizi strumentali. Lo Stato italiano oggi spende nel settore dei medicinali 16 miliardi di euro annui, il 15 per cento delle uscite totali del comparto salute.

Grazie a una strategia rigorosa sui costi standard e sulle centrali di acquisto – rimarca il responsabile di Farmindustria – i farmaci rappresentano la voce più controllata e regolata nel pianeta sanità, con prezzi più bassi del 27 per cento a confronto con la media Ue – 270 euro pro capite rispetto a 370 euro – e un calo del 44 per cento tra il 2001 e il 2013. “È sul restante 85 per cento fuori controllo che bisogna agire. Perché noi non vogliamo più essere il ‘bancomat della salute’”.

Gli ostacoli da superare

A giudizio di Scaccabarozzi, per esprimere le potenzialità economiche e scientifiche dell’industria farmaceutica è necessario promuovere in sede politica iniziative ben precise.

“Rendere snelle e veloci le procedure burocratiche per i nuovi investimenti e i controlli nei siti industriali. Accelerare l’accesso all’innovazione frenato da troppi vincoli nazionali e regionali. Aiutare le aziende a utilizzare i fondi europei per la produzione e la ricerca. Riconoscere il valore dei brevetti e dei marchi. Stabilizzare la cornice normativa e fiscale”.

Ma l’intervento prioritario, rileva, è riformare il Titolo V della Costituzione riportando alle competenze statuali la politica farmaceutica oggi ripartita e frammentata in 21 realtà territoriali. Soltanto così sarà pensabile colmare lo “spread sociale” e la “lotteria della nascita” nell’accesso alle terapie di avanguardia: “Pensiamo che l’Italia sconti un ritardo di 200 giorni sulla media europea e di 350 rispetto alla Germania nell’utilizzo dei medicinali innovativi”.

Una riforma americana dell’Agenzia del farmaco

Argomentazioni accolte dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin, fortemente intenzionata a promuovere una riforma nevralgica “ora che i costi standard sono entrati a regime grazie a un network nazionale delle centrali di acquisto regionali e a una politica di uniformità nei prezzi”.

L’intervento che ha in mente l’esponente del governo, e che arriverà sul tavolo del Consiglio dei Ministri il 28 agosto, è conferire all’Agenzia italiana del farmaco il ruolo, i poteri le prerogative, l’elevata specializzazione scientifica della Food and Drug Administration Usa: “Una realtà del tutto libera da condizionamenti e interferenze della politica”.

Una nuova politica demografica

Accanto alla trasformazione dell’AIFA, evidenzia Lorenzin preannunciando la firma del Patto per la Salute con i governatori regionali, è bene potenziare gli istituti di ricerca valorizzando la creazione dei brevetti e affrontando l’attività scientifica non come costo.

Ma un complesso di misure così ambiziose non sarà incisivo per il Welfare sanitario e l’industria farmaceutica se non verrà affrontata una priorità di cui poco si parla: “La tendenza all’impoverimento demografico nel nostro paese. Un tema enorme in vista del quale vogliamo mettere in campo un grande programma per la fertilità per la genitorialità responsabile”.

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