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Ecco come l’estremismo ecologista castra il Sud

In diverse aree industriali dell’Italia meridionale – da Brindisi a Taranto, dai campi petroliferi della Basilicata a Priolo nel Siracusano per finire a Porto Empedocle ove l’Enel deve costruire un grande rigassificatore – un estremismo ambientalista con crescenti caratteri antindustrialisti ha già rallentato, o rischia di paralizzare del tutto, investimenti programmati da tempo che, se realizzati, potrebbero non solo creare nuova occupazione qualificata, ma anche essere utili all’intero Paese in materia energetica ed offrendo beni intermedi come i coils dell’Ilva di Taranto utili all’industria meccanica nazionale.

UNO SGUARDO AL PASSATO

Intendiamoci bene però: in molte di queste zone i processi di industrializzazione dell’ultimo cinquantennio – a suo tempo sollecitati con forza anche da lunghe mobilitazioni popolari, sindacali e di istituzioni locali per uscire definitivamente dal sottosviluppo, comportamenti collettivi che molti oggi vogliono dimenticare, ma che fanno parte della storia civile di quei territori – hanno sedimentato scorie e rifiuti industriali soprattutto là dove petrolchimica, chimica di base, energia e siderurgia hanno trainato la crescita economica e con essa quella socioculturale delle popolazioni. Inoltre petrolchimica, chimica di base e produzione di acciaio hanno emissioni elevate in atmosfera, nelle acque e nel sottosuolo – con possibile incidenza su incrementi di determinate patologie registrate in quelle aree – che devono essere costantemente monitorate, mitigate e abbattute con nuovi investimenti, tecnologie avanzate e best practices gestionali che consentano di difendere l’ambiente e la salute di operai e cittadini, salvaguardando però – questo è il punto fondamentale – la produzione e l’occupazione in quegli stabilimenti di migliaia di addetti diretti e in attività dell’indotto. Tutti pertanto vogliono difendere ambiente salute e lavoro: e chi scrive non ha una sensibilità ambientalista inferiore a quella degli ecologisti, ma il discrimine irriducibile fra i due versanti dell’ambientalismo è proprio quello che divide la difesa della produzione industriale in logiche di piena ecosostenibilità, dalla sua dismissione voluta e perseguita in determinati settori dell’industria di base da chi la ritiene irrecuperabile e non tecnologicamente migliorabile.

I DATI DELLO STUDIO “SENTIERI”

Sono stati diffusi nei giorni scorsi nuovi dati dello studio epidemiologico Sentieri, pubblicato dall’Istituto Superiore di sanità, dai quali si evince che la mortalità infantile registrata per tutte le cause sarebbe maggiore a Taranto del 21% rispetto alla media regionale. Eccessi di mortalità che riguardano anche gli adulti. Per tali eccessi di rischio – scrive l’Istituto Superiore di Sanità – è “verosimile presupporre un contributo eziologico delle contaminazioni ambientali che caratterizzano l’area in esame come causa o concausa di patologie quali tumore del polmone, mesotelioma della pleura, malattie dell’apparato respiratorio, acute e croniche”.

QUALCHE RIFLESSIONE

Ora, fermo restando che è in ogni caso drammatico leggere tali dati, il Subcommissario dell’Ilva Edo Ronchi (che ieri ha rinunciato all’incarico dopo le ultime decisioni del governo Renzi) ha fatto osservare che gli effetti dell’inquinamento storico e pregresso dureranno a Taranto ancora per anni, anche se oggi la qualità dell’aria è localmente migliore come evidenziano i dati dell’Arpa, l’Agenzia regionale per l’ambiente, registrando i miglioramenti intervenuti nel 2013, mentre evidenziavano i dati molto negativi della serie storica degli anni precedenti. L’indagine epidemiologica dell’Istituto Superiore della Sanità si riferisce a dati sino al 2011 ed è noto peraltro – ha detto sempre Ronchi – “che i tumori evidenziati nella ricerca hanno tempi di latenza anche di decenni e che gli effetti sui bambini sono prodotti da inquinanti genotossici, trasmissibili da parte dei genitori.” Ma gli estremisti dell’ambientalismo ne hanno subito tratto motivo per tornare a chiedere con forza la dismissione del Siderurgico, e qualcuno si è rivolto anche al Presidente del Parlamento europeo Schulz per chiedergli di intervenire sulla Commissione Europea per imporre l’immediato fermo dell’Ilva. Ed invece bisognerebbe proseguire celermente nell’attuazione dell’Aia e nel miglioramento costante delle performance ambientali non solo del Siderurgico, ma di tutti gli stabilimenti industriali di Taranto.

COME AGIRE PER MIGLIORARE LE CONDIZIONI AMBIENTALI

Naturalmente le tecnologie da introdursi e le best practices da adottarsi – che in molti grandi impianti industriali nell’Italia meridionale sono state già avviate da tempo, ma che possono essere ulteriormente aggiornate e migliorate, anche alla luce di direttive dell’Unione Europea da recepirsi nell’ordinamento italiano – non possono gravare di costi aggiuntivi rispetto alla concorrenza europea e mondiale l’industria italiana che compete nel contesto globale. E’ un tema questo molto complesso, indubbiamente, ma l’approccio più corretto per affrontarlo, a nostro avviso, non può che essere costruttivo e finalizzato a salvaguardare contemporaneamente i beni preziosi dell’ambiente, della salute, del lavoro e dell’impresa che sono diritti costituzionalmente tutelati.

L’ESTREMISMO AMBIENTALISTA

E invece l’estremismo ambientalista – peraltro largamente minoritario nei contesti in cui si manifesta, ma capace di influenzare molti amministratori locali, rallentandone e paralizzandone le decisioni – vuole, esige, anzi chiede spesso alla Magistratura di intervenire per sequestri senza facoltà d’uso di impianti, come primo passo per una loro successiva e definitiva dismissione. Ma le alternative occupazionali proposte? Ritorno all’agricoltura sia pure di qualità, all’artigianato, al turismo, al terziario avanzato: tutte risorse preziose per uno sviluppo economico locale e che già in molti dei contesti economici prima ricordati contribuiscono alla loro crescita, ma che non potranno mai sostituire per numero di occupati, volumi di produzione, esportazioni ed effetti indotti l’industria qualunque ne sia il settore.

IL RUOLO DEI SINDACATI

I Sindacati confederali come rispondono a queste che in alcuni territori sono ormai vere e proprie campagne di stampa e di massa antindustrialiste, quotidiane, sistematiche, martellanti, irriducibili ad ogni confronto di merito sui problemi da affrontarsi? I leader nazionali confederali e categoriali sono sicuramente più determinati e ben orientati perché vogliono, devono difendere, lavoro, salute e ambiente, ma in periferia le dirigenze locali sembrano spesso ondivaghe, a volte reticenti o, peggio, divise su analisi e prospettive di certi settori industriali e in qualche caso non insensibili alle istanze antindustrialiste dei settori più estremisti dell’ambientalismo. Nelle fabbriche operai, tecnici e dirigenti molto spesso si sentono isolati, e talvolta vengono presentati dagli ecologisti più intransigenti come insensibili alle istanze da essi rappresentate: quasi una corporazione a difesa dei propri privilegi di occupati, quasi che operai, tecnici e dirigenti non fossero vittime anch’essi delle patologie e dell’inquinamento registrati e da ridursi drasticamente.

L’OPINIONE PUBBLICA LOCALE

E le opinioni pubbliche locali? Quando a Taranto una associazione ecologista locale ottenne dal Comune lo svolgimento di un referendum consultivo sulla chiusura dell’area a caldo dell’Ilva o dell’intero stabilimento, neppure il 20% degli aventi diritto al voto andò ad esprimerlo, invalidando in tal modo la consultazione referendaria. Ma raramente l’opinione pubblica locale attraverso organi di informazione alza la propria voce a difesa di lavoro, salute e ambiente. Sono solo le associazioni ambientaliste – dietro le cui sigle spesso si nascondono sole poche persone – che monopolizzano gli organi di informazione che preferiscono spesso il sensazionalismo della denuncia che non l’analisi approfondita e scientifica del problema che sia stato evidenziato.

IL CASO DI BRINDISI

A Brindisi l’investimento di 800 milioni di euro della British Gas in un rigassificatore dopo un estenuante dibattito di oltre dieci anni – e dopo successivi interventi della Magistratura che non sono ancora sfociati in sentenze passate in giudicato – è stato abbandonato dalla società inglese senza che mai la popolazione brindisina sia stata chiamata con referendum consultivo ad esprimersi: ambientalisti ed una Amministrazioni provinciale di centro-sinistra ma anche un Sindaco di centro-destra stabilirono che quell’investimento non era compatibile con lo sviluppo della città che peraltro è imperniato proprio sull’industria chimica, energetica ed aeronautica.

COSA DEVE FARE L’ITALIA

Per concludere: se l’Italia vuole restare, com’è auspicabile un grande Paese industriale, è giunto il momento di operare e subito un forte cambio di passo nelle politiche industriali governative e nella loro ineludibile coniugazione con la tutela dell’ambiente, della salute di operai e cittadini. E l’estremismo ambientalista deve essere sconfitto con il pieno rispetto delle leggi in materia di bonifica degli impianti e della aree di localizzazione da parte delle aziende, ma anche con una grande, quotidiana, martellante battaglia politico-culturale che segnali alla grande opinione pubblica nazionale ma anche a quelle locali il pericolo di un antindustrialismo ormai sempre più cieco e regressivo.

Federico Pirro

Università di Bari

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