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Perché la flessibilità delle regole Ue non è la giusta panacea

Il tentativo di interpretare gli andamenti congiunturali per l’economia italiana negli ultimi trimestri ha posto i previsori dinanzi ad un puzzle difficile da decifrare. Diversi indicatori segnalano da tempo che il punto di minimo del ciclo è stato superato e che l’economia dovrebbe iniziare gradualmente a guadagnare terreno. Tra questi, gli indicatori del clima di fiducia di imprese e famiglie. D’altra parte, tale andamento sarebbe in linea con un quadro macroeconomico che ha visto progressi dal lato delle variabili finanziarie, come evidenziato dalla chiusura dello spread, e sul versante della politica di bilancio, che sta iniziando ad assumere una intonazione quasi neutrale.

Si tratterebbe cioè di una ripresa descritta da alcune variabili, spiegabile in base all’evoluzione del quadro macroeconomico, e peraltro in linea con quanto si sta osservando in altri paesi della periferia europea.
A fronte di ciò, i dati indicano che l’attività economica resta stagnante. I dati sul primo trimestre, con una variazione del Pil di segno leggermente negativo, sono giunti come una doccia fredda sulle speranze di ripresa. Inoltre, la stima del dato di produzione del mese di maggio ha evidenziato un’ampia contrazione, e induce a ritenere che il secondo trimestre non farà molto meglio. Ne consegue quindi che la crescita per l’anno in corso scompare, come evidenziato dalla previsione di una variazione nulla del Pil quest’anno. Va precisato che la nostra indicazione per il 2014 è leggermente più bassa rispetto alle più recenti stime diffuse dagli altri maggiori centri di ricerca nazionali (che hanno mediamente indicato incrementi compresi fra lo 0.2 e lo 0.3 per cento nel 2014) ma questo deriva con tutta probabilità dal diverso set informativo, considerando che siamo probabilmente fra i primi a diffondere una previsione realizzata dopo la diffusione del dato di produzione di maggio. E’ quindi possibile che nelle prossime settimane anche il consenso degli altri previsori nazionali converga intorno alla stima di una variazione vicina a zero.
Data la distanza che si sta materializzando fra l’andamento effettivo dell’attività economica e le stime governative che, per una volta al pari degli altri previsori, avevano sovrastimato la crescita per l’anno in corso, il quadro congiunturale dei mesi a venire acquisisce un particolare signifi cato.

Si tratta difatti di stabilire in che misura la ripresa italiana sinora non è ripartita per un semplice ritardo dell’attività economica rispetto agli indicatori qualitativi, oppure se la fase di stagnazione tenderà ancora a protrarsi. In questa seconda ipotesi anche lo scenario 2015 verrebbe rivisto al ribasso nei prossimi mesi e l’intero biennio 2014-2015 si ritroverebbe a cumulare un ampio gap di crescita rispetto allo scenario che aveva fatto da sfondo alla programmazione della nostra politica di bilancio.

L’area euro deve adesso fronteggiare anche un rischio di deflazione. Per ora possiamo parlare al più di un’infl azione molto bassa, ma è quanto basta perché la trasmissione della politica monetaria ne possa venire ostacolata. Con l’infl azione che è scesa, i tassi d’interesse sono già saliti in termini reali, e vi è il timore che si consolidino aspettative d’infl azione bassa tali da estendere il problema ai prossimi anni. La Bce dovrà faticare per raggiungere un’infl azione prossima al 2 per cento, e questo potrebbe a sua volta rendere più difficile l’azione delle politiche di bilancio, in vista dell’avvio della fase di rientro del rapporto debito
Pil.

Questo problema appare più grave per l’economia italiana, anche se non è più chiaro quale sarà le cornice delle regole europee entro cui si completerà il percorso di aggiustamento delle finanze pubbliche. Si punta molto su una attenuazione dei vincoli, anche se per ora gli spazi concessi sono limitati. L’impressione è che si stia materializzando un ampio divario fra l’andamento del deficit e gli obiettivi, ma che si riesca ad evitare una nuova stretta fiscale per il prossimo anno. Se ci viene permesso, restiamo con il deficit poco sotto il tetto del 3 per cento, rinviamo il pareggio e attendiamo che si materializzi la ripresa che gli indicatori di confidence ci hanno lasciato intravedere.

D’altra parte non ha molto senso spingersi troppo oltre chiedendo una maggiore flessibilità rispetto agli obiettivi. Il rischio è che nell’eterno dibattito fra discrezionalità e regole della politica economica, si insinui l’opzione della flessibilità delle regole, ovvero la situazione peggiore, perché non consente discrezionalità e rischia di fare perdere i benefici in termini di credibilità che derivano dalle regole. Ma questo lo sanno bene i tedeschi e il nostro ministro dell’economia.

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