Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Di Matteo? Ha ereditato la visione processuale di Ingroia. Parla Massimo Bordin

“Molti nelle istituzioni hanno privilegiato il silenzio e l’omertà di Stato, ottenendo l’evoluzione di splendide carriere e posizioni di potere crescente. E alcuni, pur sapendo, utilizzano le proprie conoscenze per piegare le istituzioni alle proprie esigenze”. Raramente il magistrato di Palermo Antonino Di Matteo aveva utilizzato parole come quelle pronunciate nel corso della commemorazione della strage di via D’Amelio.

Per comprendere gli obiettivi del j’accuse del pubblico ministero titolare del processo sulla presunta trattativa fra Stato e Cosa nostra Formiche.net ha interpellato Massimo Bordin, giornalista e voce storica di Radio Radicale, soprattutto per la rassegna informativa del mattino “Stampa e Regime”, oltre che acuto osservatore del pianeta giustizia.

I bersagli polemici delle accuse lanciate da Antonino Di Matteo sono Piero Grasso e Giorgio Napolitano?

Il magistrato di Palermo ha parlato in modo criptico. Le sue frasi si prestato a differenti interpretazioni. È probabile il riferimento al Presidente del Senato. Figura che pochi giorni fa ha testimoniato proprio al processo sulla “trattativa Stato-mafia”. Mi chiedo per quale motivo Di Matteo abbia ascoltato le sue parole senza nulla eccepire. Poteva affondare il colpo, ma non l’ha fatto.

Il Presidente della Repubblica è stato chiamato in causa dal pm palermitano?

Sì. Vi è una logica continuità e un passaggio di testimone tra Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo nell’impostazione dell’inchiesta e del processo sul presunto accordo tra apparati istituzionali e Cosa nostra. Soprattutto riguardo al fronte Quirinale. Spesso si dimentica un elemento giudiziario rilevante.

Quale?

Di Matteo ha più volte insistito per ottenere la testimonianza di Giorgio Napolitano nell’aula processuale. Parlare di una persona chiamata a deporre illustrandone le presunte nefandezze politiche nel corso di un intervento pubblico è inusitato. Così il processo viene utilizzato per attività extra-giudiziarie.

Non è giusto chiedere al Presidente della Repubblica di dichiarare la propria verità in tribunale?

Le segnalo che ben tre udienze, di cui due con analisi di testimoni, sono state dedicate al ruolo del Quirinale. Tema che sul piano processuale non ha rilievo. L’unico fatto significativo acclarato è che l’ex capo del Viminale Nicola Mancino si è mosso in modo scomposto telefonando a tutti. Un comportamento ritenuto dai magistrati dell’accusa sintomo del reato di falsa testimonianza, ma che non ha portato a nuove imputazioni né a ulteriori esigenze di chiarimento.

Le parole pronunciate contro il presidente del Senato sono il riflesso dello scontro che anni fa lacerò la Procura di Palermo tra il gruppo legato a Giancarlo Caselli e quello vicino a Grasso?

Può esservi un elemento del genere, che certo non contribuisce ai buoni rapporti negli uffici giudiziari. Peraltro, al contrario di quanto sostenuto dal Fatto Quotidiano e da Marco Travaglio, i pm di Palermo hanno negato di aver subito pressioni dal Colle e dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione a causa della richiesta di Mancino di avocare l’inchiesta sulla presunta trattativa. Avocazione che il presidente del Senato, all’epoca procuratore nazionale anti-mafia, dichiarò impossibile.

La strage di Via D’Amelio presenta moventi ulteriori rispetto alla vendetta mafiosa contro Paolo Borsellino?

Voglio citare le parole sorprendenti pronunciate sabato dal procuratore generale della Corte d’Appello di Palermo Roberto Scarpinato: “Dietro la strage di Via D’Amelio si intravede il sigillo dello Stato”. Dopo vent’anni di indagini e processi non ci si può limitare a un proclama che rischia di rivelarsi privo di fondamento, se non verranno compiuti accertamenti e inchieste rigorose.

Di Matteo punta il dito contro un CSM egemonizzato dalle correnti e condizionato dalle indicazioni del Capo dello Stato. Sono accuse fondate?

Certo. E coinvolgono il conflitto esploso nel Palazzo di Giustizia di Milano tra Edmondo Bruti Liberati e Alfredo Robledo. Tema su cui Giorgio Napolitano ritenne di intervenire presso il Consiglio superiore della magistratura per ricordare il ruolo centrale del procuratore capo al fine di rendere unitaria e omogenea l’attività degli uffici giudiziari. Essendo presidente del CSM, il Capo dello Stato ha il sacrosanto diritto di esprimere il proprio punto di vista. Ciò può non piacere al pm siciliano, ma non può essere letto come un’indebita ingerenza.

CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter