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Pure il Pd invoca un passo indietro sulle Camere di Commercio

Riforme: nel mirino del governo anche le Camere di Commercio. Il decreto sulla Pubblica Amministrazione prevede una sforbiciata ai diritti camerali che le aziende pagano per iscriversi ai registri. Un plus di almeno 400 milioni, secondo i calcoli del ministro Marianna Madia, ma con il rischio per le imprese di non ottenere i contributi che regolarmente ricevono, oltre a un taglio delle erogazioni effettuate nei territori dalle Camere di commercio. E pezzi del Pd chiedono a questo punto una marcia indietro.

RIFORMA SIA
L’input è lanciato, e lo ha ribadito il premier Matteo Renzi durante l’inaugurazione della Brebemi. “Sulle Camere di Commercio non voglio buttare via il bambino con l’acqua sporca – ha detto – ma non si può difendere l’indifendibile”. Aggiungendo di non essere contro i corpi intermedi, ma “contro i corpi morti”, con una stoccata riservata ai sindacati.

LA POSIZIONE DI MADIA
Ma il ministro Madia non cede e fa sapere che “la prospettiva è quella di uscire dall’obbligo del contributo”, per poi spalmare quelle quote in più tranche, fino al ddl delega per l’abolizione. Inoltre il ministro della Pa propone l’introduzione di “costi standard” al fine di realizzare “meccanismo virtuoso”, che sia l’anticamera alla riorganizzazione delle Camere di Commercio e delle loro funzioni.

IL CASO ROMAGNA
Sul caso si registra la posizione della Romagna, che dovrebbe dotarsi di una sola Camera al posto delle tre già esistenti. In questo modo si intende spalmare nel prossimo triennio il dimezzamento del diritto camerale con un doppio obiettivo: garantire un beneficio alle imprese e aprire ad una riforma delle Camere di commercio.

IL PRIMO FIRMATARIO DI MAIO
Il provvedimento è contenuto nell’emendamento presentato, come primo firmatario e sottoscritto da molti altri deputati, dal parlamentare forlivese Marco Di Maio (Pd) al decreto sulla pubblica amministrazione. Il testo è stato già approvato dal governo ed è all’attenzione della commissione Affari costituzionali della Camera. La proposta di Di Maio prevede di ridurre l’imposta camerale del 30% nel 2015, del 40% nel 2016 e del 50% nel 2017, arrivando in un triennio al suo dimezzamento.

IL COMMENTO DEI SINDACATI
Proprio le forze sociali ripetono che eliminare il 50% dei diritti fissi che le aziende pagano alle Camere di commercio finirà per “uccidere il sistema”. E’ la posizione dei circa 12mila dipendenti e funzionari che gravitano attorno all’universo camerale italiano riuniti in occasione della manifestazione ad hoc in programma nella Capitale.

LA MANIFESTAZIONE
A Roma circa mille dipendenti degli enti camerali hanno sfilato per chiedere al governo di abrogare la norma contenuta nel DL 90/2014. Secondo il ragionamento avanzato da Cgil, Cisl e Uil è necessario difendere un “sistema nevralgico per le imprese e per le economie locali composto da più di 100 Camere di Commercio e sostenuto dalla professionalità di oltre 10.000 lavoratori, considerati anche quelli dell’indotto”. E propongono che Palazzo Chigi avvii una “riforma vera, fatta insieme ai lavoratori, che renda più forte e meno costoso il sistema di sostegno alle imprese e allo sviluppo”.

IL SOSTEGNO DI FORZA ITALIA
A sostegno dei lavoratori si schiera il deputato di Fi Luca Squeri, secondo cui “la protesta è sacrosanta: Renzi tiene più ad uno slogan, che oggi rilancia con l’infelice e insultante definizione delle Camere quali ‘corpi morti’, che alle imprese italiane e ai lavoratori del sistema camerale”. Secondo Squeri il ddl con la cancellazione dei diritti camerali “porterà con sé anche quella di un sistema efficiente e virtuoso”.

LE CRITICHE DI MARONI
Critico anche il governatore della Lombardia Roberto Maroni, che si dice preoccupato dall’eventuale danno al mondo delle imprese “con una norma assurda che qualcuno gli ha suggerito ma che, forse, non ha ben compreso”. Se passasse questo ddl secondo Maroni si metterebbe “in ginocchio il sistema delle camere di Commercio”.

NUMERI
Secondo i dati forniti da Uniocamere sarebbero in pericolo 2.500 posti di lavoro, a cui si dovrebbe aggiungere la beffa per lo Stato di 167 milioni di euro l’anno: 89 per il personale in esubero, 56 per i minori versamenti e 22 per gli oneri previdenziali che oggi sono a carico del sistema camerale siciliano. La Cgia di Mestre calcola inoltre un effetto recessivo di circa 2,5 miliardi.

twitter@FDepalo

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