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I tre scapaccioni di Draghi a Renzi

C’è chi dice che si stimano ma non si prendono troppo. C’è chi dice che il premier lo cerca ma il presidente della Bce sguscia. C’è chi dice che l’ex sindaco di Firenze s’intenda più con il fiorentino Lorenzo Bini Smaghi, già nel board della Bce, e in rapporti non troppo eccellenti con Draghi, tanto che il presidente del Consiglio conta di avere presto nella sua schiera di consiglieri anche l’economista Veronica de Romaniis, moglie di Bini Smaghi e autrice di un libro-biografia di Angela Merkel.

Ma più che indiscrezioni e dietrologie, contano i fatti. E i fatti, e le parole, vanno in una direzione chiara.

Mentre Matteo si pavoneggia da tempo maramaldeggiando contro mandarini di Stato e stipendi esosi delle burocrazie statali, da Francoforte – sede della Bce presieduta da Mario Draghi – è arrivato uno scapaccione a Mago Matteo. Il messaggio è stato inequivoco: il governo non può imporre tetti agli stipendi dei vertici della Banca d’Italia perché questo lede l’autonomia degli Istituti di credito centrali. Il governatore Ignazio Visco e il direttore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, hanno di sicuro gongolato, a differenza di Renzi. Per tutti i dettagli dello scapaccione si può leggere qui e qui.

Un altro scapaccione è stato assestato da Draghi nei giorni in cui il governo Renzi parlava (cianciava, secondo i pochi detrattori del renzismo) di flessibilità nelle regole europee sui conti pubblici. Tutt’altra musica arrivava da Francoforte. Il 9 luglio il presidente della Bce ha lanciato la proposta di creare ”una governance comune” sulle riforme strutturali nell’area euro, sulla falsariga di quella che c’è già sui conti pubblici. L’interesse che i singoli paesi portino avanti le riforme ”è tale da giustificare una disciplina a livello comunitario”, ha aggiunto l’ex governatore della Banca d’Italia. Praticamente l’opposto della flessibilità invocata dal premier italiano.

Il terzo scappellotto i maligni lo rintracciano oggi in un’analisi di Federico Fubini sul quotidiano la Repubblica. La premessa di Fubini, già al Giornale e poi al Corriere, è la seguente: “La Bce può togliere di nuovo l’Italia e l’Europa dai guai solo se prima o poi farà ciò che hanno già fatto la Federal Reserve, la Banca d’Inghilterra e quella del Giappone: creare moneta per comprare sui mercati almeno mille miliardi di titoli di Stato, di cui quasi 200 italiani”. Ma questa svolta non è affatto vicina, secondo Fubini: “Draghi e Merkel non hanno lo spazio politico necessario per neutralizzare il veto della Bundesbank come due anni fa, e il governo Renzi non li sta aiutando. Ogni duello mediatico di giornata con Berlino, Bruxelles o Francoforte sulle regole di bilancio, ogni incertezza nelle misure per la crescita, non fa che alimentare in Germania la diffidenza verso l’Italia”.

Quando arriverà il prossimo scappellotto?

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