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Ecco perché il Qatar finanzia Hamas

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Il Qatar, indipendente dalla Gran Bretagna fin dal 1971, vuole mediare le tensioni (e talvolta favorirle) in tutto il Grande Medio Oriente, in contrasto primario con l’Arabia Saudita che desidererebbe avere degli Emirati totalmente proni al suo volere.
L’Emiro opera come mediatore in Yemen, Libano, Sudan, e sostiene la Fratellanza Musulmana (e quindi Hamas) in funzione anti-saudita.

Ecco quindi il sostegno qatarino a tutte le rivolte della “primavera araba”, spesso fomentata dalla TV Al Jazeera, ospitata proprio in quell’Emirato, e il larvato favore alla rivolta in Bahrein contro gli Al Khalifa.
Quindi, perfino la politica estera a tutto raggio del Qatar con gli USA e l’UE è da comprendere come diretta alla limitazione dell’egemonia saudita nella penisola arabica e nella grande area sunnita che si muove di contro alla “internazionale sciita” diretta da Teheran.
Nell’area palestinese, il Qatar opera per un dialogo stabile tra OLP e Hamas, tra gli eredi del “laicismo”palestinese e il gruppo del “fervore” (Hamas vuol dire appunto “fervore” ) religioso della Fratellanza Musulmana.

Il Qatar opera poi, sul piano economico, fuori dalla logica strettamente petrolifera di molti dei paesi confinanti. L’Emirato ha siglato accordi con le americane ExxonMobil e ConocoPhillips, e esporta stabilmente il suo gas naturale verso gli USA, la Spagna, l’Italia, la Corea del Sud, Taiwan e India.
Con il progetto Dolphin, il Qatar esporta gas naturale verso gli altri Paesi della penisola arabica, pur con evidenti contrasti da parte dei sauditi, che non vogliono una “economia di sostituzione” tra il loro petrolio e il gas naturale qatarino, che toglie quopte di mercato al vecchio “arabian light” saudita.

L’Emirato è un alleato stabile degli USA, senza le “colpe” esplicite dei sauditi nella preparazione dell’Undici Settembre e senza una forza armata capace di modificare le condizioni strategiche della penisola arabica e del Golfo Persico. Ma il Qatar ha ospitato gran parte della dirigenza di Al Qaeda negli anni ’90.
Quindi non c’è da fidarsi nemmeno del piccolo emirato. Ed in effetti Al Qaeda è la organizzazione che tenta di realizzare il Califfato sunnita globale, ovvero la organizzazione politica che permette ai vari Stati islamici di creare con il petrolio e il gas naturale quella dipendenza degli Occidentali “infedeli” che il Califfato di Osama Bin Laden vuole realizzare con il terrorismo globale.

Il Qatar ha finanziato con un miliardo di dollari la costruzione della base aerea USA di Al Udeid, opera in rapporto agli interessi USA nell’area, e ospita, in linea con la sua tradizione mediatoria, la “ambasciata” dei Taliban che tratta con gli USA la nuova configurazione dell’Afghanistan dopo la disastrosa operazione ISAF.
E quindi il Qatar, sempre in direzione opposta a quella saudita, sviluppa buone relazioni con l’Iran, opera per una collaborazione militare tra gli Emirati Uniti, la Giordania e il Marocco, media tra le diverse frazioni palestinesi.
Anche l’Ufficio Commerciale aperto a Doha da Israele va in questa direzione.

Cosa vuole quindi l’Emirato di Doha dal futuro sistema mediorientale che si sta delineando? Tre cose: a) la fuoriuscita, attualmente in atto, degli USA dal quadrante del Grande Medio Oriente, con l’UE insignificante sul piano militare e del tutto dipendente a livello economico ed energetico, b) la riduzione, tramite guerre di attrito costanti, di Israele ad una entità marginale sul piano militare e economico, con uno Stato Ebraico del tutto isolato dagli USA e dall’Europa (ecco il ruolo-chiave di Al Jazeera) e quindi destinato, prima o poi, ad una sudditanza rispetto al mondo islamico, c) la sutura, spesso citata da Al Qaradawi e dagli altri dirigenti della Fratellanza, ospiti del Qatar fin dai primi anni ’80, tra sciiti e sunniti, per creare quella grande massa critica islamista che possa ridurre ed eliminare l’egemonia mondiale degli “infedeli”.

Altrimenti, c’è sempre la risorsa della guerriglia antiebraica e antioccidentale, per limare il potenziale degli avversari dell’Islam globale e prendere le misure della preparazione militare e ideologica degli “infedeli”.
La guerriglia di Hamas ha un rilievo strategico importante, perché costringe, insieme ad Hezbollah a nord di Gerusalemme, Israele ad una spesa militare asimmetrica ed elevatissima.
Ma la guerriglia antiebraica ha un ruolo di propaganda efficacissimo, che è spesso più importante dei risultati sul campo.

Dipingere i “sionisti” come feroci repressori delle popolazioni civili, e creare una corrente di opinione antisraeliana in tutto l’Occidente, serve ad isolare Israele e ad isolare lo stesso Occidente, che è costretto a fare riferimento all’Islam per tutelare i suoi stessi interessi nel Grande Medio Oriente.
Una guerra psicologica islamista di grande finezza e pericolosità, tra economia e guerriglia religiosa, che il nostro smidollato Ovest ha accettato senza fiatare.

Giancarlo Elia Valori è professore di Economia e Politica Internazionale presso la Peking University e presidente de “La Centrale Finanziaria Generale Spa

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