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Vi spiego perché l’Argentina non rischia un nuovo default

La Repubblica Argentina si trova oggi lo sguardo di tutto il mondo addosso che aspetta con ansia cosa succederà dopo il 30 luglio, momento in cui, gli investitori che hanno meno dell’1% del debito pubblico argentino, aspettano di essere ripagati.

La stranezza della vicenda (forse un caso unico nella storia finanziaria internazionale) è che il 26 giugno scorso lo Stato argentino ha depositato presso il Bank of New York Mellon (agente finanziario dei creditori) i 539 milioni di dollari che corrispondevano esattamente al debito in scadenza al 30 giugno con i creditori che volontariamente accettarono la ristrutturazione del debito negli anni 2005 e 2010, ma per via di un ordine della giustizia statunitense di non pagare, la banca (dunque, non lo stato argentino) si trova nel trade off di adempiere il contratto che ha siglato con lo stato argentino in vantaggio dei suoi creditori particolari, versus l’obbedienza nei riguardi della decisione di un giudice che rappresenta l’interesse di un piccolo gruppo di investitori speculativi (chiamati “fondi avvoltoi”) che hanno sulle istituzioni nordamericane sufficiente potere d’influenza per far sopravvivere questo dilemma.

Il fatto è anomalo al punto che l’International Swaps and Derivatives Association, Inc. ancora non ha deciso se il permanere di questa situazione diventerà un “default” oppure no, in quanto l’Argentina è in possesso dei dollari per pagare, anzi vuole pagare il suo debito, e a tal proposito ha già depositato i fondi in banca che non deve far altro che trasferire i soldi ai creditori che hanno accettato le condizioni di pagamento. In altri termini, anche se l’Argentina vuole pagare il suo debito, il giudice statunitense lo impedisce privilegiando il pagamento ai fondi speculativi che dopo la crisi del 2002, hanno acquistato a prezzi bassissimi i bond argentini, aspettando per avere un ritorno straordinario superiore al 1000%.

Se default vuol dire che un Paese non ha la capacità di pagare i suoi debiti, non è proprio il caso dell’Argentina, che negli ultimi 10 anni è cresciuta più del 7% all’anno e ridotto il debito pubblico passando dal 140% al 43% del Pil, con un formidabile miglioramento della capacità di pagamento del suo debito estero con tre anni di esportazioni, riducendo il rapporto debito estero sulle esportazioni dal 300% nel 2002 al 60% nel 2014.

Oltre a questo andamento congiunturale ci sono altri due aspetti interessanti per la comunità internazionale. Il primo è che l’Argentina può essere considerato un vero best case di sviluppo economico senza supporto finanziario estero, uscendo di una profondissima crisi economica con sovranità politica e migliorando la distribuzione del reddito (C. Gini: 0,551 nel 2002 vs. 0,411 nel 2013), diminuendo la disoccupazione (dal 25% al 7% in 10 anni), registrando un incremento nella speranza di vita (dagli 73 ai 76 anni), questi indicatori si aggiungono al fatto, come detto, che il tutto é stato raggiunto senza accesso al mercato finanziario internazionale.

Il secondo aspetto importante (quello pessimista) è che con l’antecedente argentino, qualsiasi accordo volontario di ristrutturazione del debito pubblico potrebbe essere modificato secondo le leggi di qualsiasi altro Paese, perché come in questo caso, gli “holdouts” hanno il sufficiente potere (politico ed economico) per condizionare le decisioni sovrane di altri Paesi che cercano di liberarsi della dipendenza al debito estero.

La cosa innegabile è che il mondo si trova in un momento di profondi cambiamenti, uno dei quali è sicuramente il sistema finanziario internazionale come lo conosciamo da 70 anni a questa parte.

Esteban Guida è presidente di Fundación Pueblos del Sur e partner Network internazionale OpenEconomics.

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