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Netanyahu, Al Sisi e la partita energetica sullo sfondo di Gaza

Come sempre le operazioni nella Striscia di Gaza hanno una duplice dimensione, quella militare e umanitaria e quella economica ed energetica, due partite parallele che vedono l’impiego del mezzo militare secondo una modalità che ormai è parte integrante del modo di intendere i conflitti ibridi della nostra nuova era.

DEBOLI BORGHESIE RIVIERASCHE
Se questo è lo sfondo, il prezzo di qualche centinaio di vittime potrebbe essere cinicamente il pegno da pagare a nuovi equilibri energetici che da qualche anno si vanno delineando nel Levante attorno ai bacini gasiferi Leviathan e Tamar, oltre che, più a nord, Afrodite nelle acque cipriote. Il ricorso alla guerra, specie nella forma cruenta, è però il segno della debolezza di tutti i gruppo dirigenti dell’area, dai libanesi agli israeliani ai giordani ai palestinesi. Anche nella nuova dimensione di abbondanza energetica, i gruppi israeliani non hanno la forza per arruolare dietro di sé giordani e palestinesi, né per dare solidità strategica al rapporto con l’Egitto.

DUE ALLEANZE A CONFRONTO?
Il sito israeliano di intelligence militare Debka ha parlato di un “weekend fuoco” di Netanyahu (quello tra il 25 e il 27 luglio), quando il premier è stato tentato dal perseguire un’alleanza di fatto in funzione anti-islamista con Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, e in questo modo “rompere” con la mediazione americana. La quale, secondo Debka, è fortemente contrassegnata dall’appoggio di Qatar e Turchia. Forse spingendosi oltre il segno, il sito, fortemente critico verso l’amministrazione Obama, ha definito quella con Il Cairo e Ryahd “la prima solida alleanza realizzata da Israele nella regione”. Un’alleanza che potrebbe rendere più realistico un attacco israeliano all’Iran con la benevola neutralità o l’appoggio segreto di egiziani e sauditi, e tale da rompere la trama diplomatica mediorientale Usa.

IL MALE DEL FRAZIONISMO
Ma tra le sabbie e le palme mediorientali alleanze e rivalità assomigliano ad abbagli momentanei, se non a miraggi mediatici, utilizzati cruentemente per motivi interni. Qui si misura l’ultima, pesante eredità del colonialismo, che i “terzomondisti” europei così attenti all’Africa non amano cogliere in Vicino Oriente: deboli classi dirigenti, che devono inseguire il consenso anche di frange marginali ed estreme per sopravvivere all’asfittico ciclo politico nazionale. Così Autorità Palestinese, Hamas e governo israeliano sono tutti vittime di un’ossessione frazionista che a ben guardare è l’opposto dei processi democratici-federali su cui si costruiscono le medie e grandi potenze che contano.

PIPELINE DIFFICILI
Su basi politiche frazioniste è forse possibile costruire infrastrutture energetiche, ma queste saranno sempre soggette al sabotaggio, come accade in Siria con la pipeline Egitto-Israele presa di mira dagli islamisti. In pratica, ci possono essere infrastrutture, ma non politiche che le inquadrino e diano loro stabilità prospettica di lungo periodo. Così il legame Egitto-Israele ha certo un peso, dato che, come rivela Natural gas europe, i partner israeliani di Leviatan e Tamar sono in trattativa con British Gas ed Union Fenosa per trasportare in Egitto il gas che da qui dovrà andare in Asia. Anche perché la via turca, che passi per Cipro, appare difficile nel momento in cui Hamas è appoggiata apertamente da Ankara.

MOSCA: UNA TIGRE DI CARTA?
Ma, come detto, nulla sorprende più gli osservatori. E la storia dice che un’alleanza come quella (tutta da verificare) egiziano-saudita-israeliana avrebbe bisogno di un convinto appoggio esterno, se non dagli Usa allora dalla Russia. Secondo alcuni analisti Mosca punterebbe ad un grande cartello petrogasifero russo-saudita per contendere il controllo del Golfo agli Usa; intanto starebbe cercando basi navali in Egitto (Alessandretta e Porto Said tra i nomi più citati), con scambi di intelligence e favori militari, anche qui per sfruttare le difficoltà Usa; infine, una potente corrente di immigrati ebrei di lingua e origine russa fomenta simpatie per la causa di Putin, e Cipro, piazza offshore favorita dai patrimoni russi e israeliani, può favorire l’incontro tra gli interessi dei due Paesi – tanto più che la Russia marca la sua presenza a ridosso dei giacimenti del Mar di Levante che interessano a Tel Aviv e Nicosia.

IL GIOCO DI AL-SISI
Il dittatore egiziano è pronto a sfruttare le leve energetiche per una mediazione di alto profilo? Probabilmente, se cercherà di alzare troppo la posta si aprirà la strada per un clamoroso riavvicinamento turco-israeliano cementato dalle pipeline; se avrà tatto e ambizione per riportare Il Cairo al centro del quadrante arabo-mediterraneo, potrà forse trovare sponde Usa anche in funzione di contenimento dell’Arabia Saudita. Non a caso, secondo Lisa Watanabe del Centro Studi per la Sicurezza di Zurigo, uno dei capitoli di un riavvicinamento degli egiziani agli Stati Uniti è la cooperazione militare e di intelligence nel contrastare la dorsale islamista che dal Sinai arriva all’Iraq. Una tale soluzione creerebbe forse le premesse per un “protettorato di fatto” sulla Giordania schiacciata dalle pressioni regionali. Una mossa che aprirebbe nuovi scontri a Tel Aviv e ripercussioni sulla West Bank, ormai unite in una complessa partita che solo la stupidità politica dei retaggi coloniali fa apparire disgiunta e separata da un dedalo di confini “nazionali”.

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