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Libia, i primi passi del nuovo Parlamento e l’attesa di un intervento internazionale

Libia haftar

Prove di democrazia in Libia, dove domani si insedierà ufficialmente il nuovo Parlamento eletto lo scorso 25 giugno.

Se a Bengasi non si dovesse riuscire a garantire la sicurezza adeguata, la sede dell’assise sarà temporaneamente Tobruk, dove la quasi totalità dei 188 deputati eletti, 160, si è riunita ieri per una seduta informale. Un gesto che per molti analisti segnala un primo successo politico per la fazione laica e nazionalista che si è imposta alle urne nei confronti di quella islamista, che aveva minacciato di boicottare la riunione considerandola anticostituzionale.

Tuttavia la situazione nel Paese è tutt’altro che tranquilla. Le strade sono ancora terra di nessuno in mano a milizie armate, i pozzi petroliferi bruciano e ora dopo ora si fa sempre più pressante la necessità di un intervento internazionale.

LA PRIMA SEDUTA UFFICIALE

A riunirsi domani sarà un Parlamento variegato, composto in maggioranza da moderati e liberali (i 55 deputati della Forza delle alleanze nazionali); gli islamisti conteranno su 23 seggi; 21 per il Movimento dei giovani per i diritti civili, il nucleo del gruppo che ha portato alla sollevazione contro Muammar Gheddafi; i restanti 89 sono da considerarsi indipendenti, anche se vicini a movimenti islamisti. L’obiettivo principale dell’organismo è tentare la strada di riforme che assicurino una rappresentanza adeguata alle tante minoranze che compongono il Paese e di trovare il modo di arginare i gruppi armati finanziati anche dall’esterno.

L’APPELLO DI LATORRE

Una strada che la Libia, sprofondata nel caos, potrebbe non riuscire a compiere senza supporto esterno. Dalle colonne del Corriere della Sera di oggi è il presidente della commissione Difesa del Senato, Nicola Latorre, a invocare per l’ennesima volta un intervento militare sotto l’egida dell’Onu, sulla falsa riga di quello in Libano e con Roma in testa. “Serve… una presenza militare vera che, tra l’altro, risponderebbe a una domanda d’aiuto che da quel Paese è arrivata. Una presenza in cui l’Italia potrebbe, anzi dovrebbe, avere il ruolo di guida“.

RENZI IN EGITTO

Washington ha rivolto da tempo a Roma la richiesta di essere leader dell’area mediterranea, tamponando le crisi in atto, a cominciare da quella libica. E per farlo il presidente del Consiglio Matteo Renzi cerca alleanze regionali, come l’Egitto. Ieri in un incontro al Cairo con il presidente Abdel Fatah Al Sisi, il premier italiano ha esaltato il ruolo dell’Egitto, chiedendo e ottenendo la sua collaborazione per contrastare le minacce del terrorismo e dell’immigrazione incontrollata che derivano dall’instabilità di Tripoli e che non hanno solo una genesi solo religiosa, come sottolineato su Al Jazeera da Karim Mezran. Scosse che unite a quelle provenienti da Gaza e dall’Iraq e la Siria, assediati dai jihadisti dell’Isis, rischiano di avere un effetto di contagio per l’intera regione.

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