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Snam e Terna, perché la politica è troppo bling bling per occuparsi di asset sensibili

La campagna acquisti di Pechino in Italia è senza dubbio balzata agli onori delle cronache per la centralità delle quote azionarie finite nel paniere cinese. Non più o non solo marchi della moda o produzioni alimentari di nicchia – cifra di una enorme classe media in rapida ascesa affamata di estetica e leccornie – ma energia e telecomunicazioni: Enel, Eni, Ansaldo Energia, Terna, Telecom e Prysmian. In Italia lo shopping tra le società statali è favorito dal contesto problematico dei conti pubblici, dalla inesperienza dell’attuale classe politica e dalla sua estrema volatilità, mentre per gli operatori privati è la stessa quotazione in borsa a favorirne la contendibilità.

L’INSTABILITA’ DELLA POLITICA

È in particolare la cronica instabilità della politica italiana a sposarsi male con le regole per la salvaguardia delle attività sensibili governate dal pacchetto “golden power”, che mutua l’approccio di altri Stati europei. Politica e Stato sono i poli tra cui si dovrebbe muovere una acquisizione estera quando mette nel mirino attività che investono la sicurezza nazionale. Eppure l’orecchio della politica è troppo attento alla ritmica elettorale esasperata dagli hashtag di Twitter, e vale davvero la pena di chiedersi se, anziché alla politica, il vaglio delle acquisizioni di asset sensibili non vada affidata alle authority indipendenti competenti per materia: Consob, Bankitalia, AEEG.

TERRA INCOGNITA IL RAPPORTO CON PECHINO

Un’acquisizione dopo l’altra, il capitalismo autoritario cinese ha guadagnato nel salotto della finanza italiana un ruolo di primo piano, e l’ingresso nelle reti elettriche e nel gas italiane costituiscono il simbolico timbro di ingresso nei reticolati pan-europei. Difficile azzardare paragoni con i partner statali del recente passato. Come i libici, presenza abituale e massiccia di un capitalismo di stato non democratico legata a filo doppio alla politica estera democristiana della Prima Repubblica. Quello con i libici era con ogni probabilità un legame che garantiva anche Washington sulla effettiva capacità dell’alleato italiano di tenere canali di dialogo con la polveriera nordafricana e le sue complessità. Per contro, il rapporto di Roma con la Cina è un quadrante ancora ampiamente inesplorato, che tuttavia lascia presagire una significativa disparità negoziale.

I POTERI DEL GOVERNO? UNA TANTUM…

Il pacchetto golden power assegna al governo estesi poteri di esame preventivo e veto in caso di acquisizione estera di attività sensibili, ma poco o nulla dispone una volta che l’operazione sia andata in porto. Fanno eccezione i casi in cui durante il vaglio preventivo le istituzioni tricolore abbiano posto una serie di condizioni sospensive di cui si ripromettono la verifica. Tuttavia è dubitabile che in Italia condizioni di questo genere vengano mai dettate – e soprattutto fatte rispettare. Un po’ come la formula nuziale del “Chi ha qualcosa da dire contro questa unione parli ora o taccia per sempre”, così anche le regole per la tutela delle attività strategiche tricolore si riducono a una verifica una tantum, per giunta effettuata a tavolino quando ancora l’operazione non è che una pila di atti nello studio di un notaio e quando non vi sono ancora riscontri tangibili del nuovo corso impresso dalla proprietà straniera. Eppure mai come nell’epoca delle reti intelligenti bastano piccoli passi a segnare alterazioni profonde. Basta un nuovo fornitore e di colpo ecco uno switch diverso, un componente dalle dimensioni risibili che equivale a enormi cancelli di bronzo che si aprono.

Francesco Galietti (Policy Sonar)

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