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Il peso delle lobby mediorientali in USA: la Palestina

La delegazione palestinese a Washington si muove con discreta dinamicità alla ricerca di una scossa giusta: di quello che l’ambasciatore Maen Rashid Areikat definisce “l’equilibrio” tra interessi palestinesi e israeliani. L’obiettivo, è colpire l’opinione pubblica americana – storicamente pro-Israele – tanto quanto i legislatori.

A Capitol Hill, mai come stavolta, le dichiarazioni dei Rappresentati sono sembrate equilibrate: le immagini che arrivano dal conflitto tuttora in corso, erano d’altronde inequivocabili, e chiedevano, più che equilibrio, equilibrismo per non considerare abominio quelle vittime civili e chiederne chiarimento. Di là c’era Hamas, è vero: un’organizzazione terroristica da condannare, ma di qua bambini straziati e un uso della forza a tratti brutale. Poi, in più, le pressioni lobbistiche palestinesi, avevano fatto di tutto per trasmettere informazioni e fare pressioni anche verso i più reticenti.

Lo stesso Areikat ha incontrato molti senatori – tra questi Lindsey Graham e John McCain più volte – per spiegare quello che stava succedendo a Gaza e per chiedere quell’equilibrio anche in funzione di propri dati sull’opinione pubblica. Negli Stati Uniti sarebbero soprattutto i più giovani a ritenere le azioni militari israeliane a Gaza “ingiustificate”.

La Palestina in America, in questi anni ha potuto contare su un’Amministrazione benevola – questione che vale “oltre le lobby”. Non è un segreto la lettura della situazione da parte di Obama, o di John Kerry; non sono un segreto le dichiarazioni dell’inviato della Casa Bianca Martin Indyk (vero esperto di equilibri e equilibrismi) con cui si è più volte espresso contrariamente alla costruzione di nuovi insediamenti israeliani.

Ma tutto questo ancora non basta: al di là delle opinioni e delle visioni politiche, il Congresso si è sempre schierato a favore di Israele, approvando gli aiuti per l’Iron Dome, dichiarando contemporaneamente il diritto dello Stato ebraico all’autodifesa e condannando in una risoluzione la denuncia dell’uso di scudi umani da parte di Hamas – quelle vittime civili, sono così ricadute per buona percentuale tra le colpe dell’organizzazione (e non è detto che non sia così).

Equilibrio. È il punto e la parola chiave di questa storia. Su questo il deputato democratico del Minnesota, musulmano americano, Keith Ellison, ha cercato di premere raccogliendo una manciata di firme a sostegno della lettera inviata a Obama e Kerry per chiedere agli Usa di «raddoppiare» gli sforzi di pace e continuare a portare avanti la soluzione a due stati.

Relazioni e pressioni, su questo si basano le lobby: e l’ufficio di Areikat non è diverso. La delegazione generale dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina negli Stati Uniti, fu fortemente voluta da Yasser Arafat e fondata 1998: attualmente, dagli ultimi bilanci del 2013, conta su un monte annuo di 1,18 milioni di dollari. Oltre al dialogo con i media statunitensi, lo scopo della struttura è intavolare discussioni e incontri (e pressioni, se possibile) con le agenzie governative americane e con le imprese locali.

Qui le difficoltà di Areikat ci sono tutte: perché a parte gli spazi concessi dai media – soprattutto quelli più liberal – è difficile per il delegato incontrarsi con i rappresentati, soprattutto alla Camera (controllata dai repubblicani). Il punto è che non c’è solo un preconcetto di base – il sostegno pro-israeliano, per intenderci – ma dietro alla Palestina pesa ancora lo spettro del terrorismo di Hamas e delle varie sigle minore nella Striscia.

Mancano i presupposti, nonostante il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen sia il benvenuto tra gli uffici di Washington e tra i pensatoi più aperti della capitale, e nonostante le posizioni della Casa Bianca e del governo, che non ha disconosciuto completamente l’ultimo esecutivo dell’Anp – quello targato dalla pace Hamas-Fatah, dove il gruppo di Gaza dà sostegno politico a una sorta di governo tecnico dal quale è formalmente escluso – facendo infuriare Israele -, il congresso ha approvato a giugno un disegno di legge di bilancio con cui si propone di tagliare 400 milioni di aiuti annui per Cisgiordania e Gaza adducendo come motivazione l’impossibilità di finanziare «qualsiasi entità […] di cui Hamas è un membro o che deriva da un accordo con Hamas». Le flessibilità dell’Amministrazione non contano, perché c’è una legge del 2006 (la cui autrice è la repubblicana Ileana Ros-Lehtinen) che è molto esplicita sul taglio dei fondi e che lascia poche scappatoie politiche.

Scade oggi, lunedì 18 agosto, l’ennesima tregua tra Israele e Hamas, siglata dopo oltre un mese di conflitto. Nessuno tra le due parti sa dire se i combattimenti riprenderanno. Il premier israeliano Netanyahu ha sostenuto che «Hamas non può pretendere che una sconfitta militare – quella dell’operazione Protective Edge – si possa trasformare una vittoria politica». Bibi si riferisce alla richiesta del leader di Hamas Meshaal, che, probabilmente imbeccato dal Qatar, ha chiesto che Gaza possa disporre di un porto commerciale e di un aeroporto; punto su cui i palestinesi sono divisi, va detto, anche in sede di negoziati di pace.

Ed è questo il problema che i lobbisti palestinesi si trovano quotidianamente ad affrontare: le divisioni, soprattutto dovute alla presenza di Hamas – un’organizzazione terroristica che controlla quasi feudalmente il territorio e che mai in questi anni si è mostrata incline ai negoziati, al dialogo, all’incontro, all’equilibrio, appunto: lo sa bene Fatah, con cui l’apice dello scontro si è raggiunto con la guerra civile palestinese tra il 2006 e il 2007.

Per Areikat competere con il meccanismo rodato e ben oliato delle lobby pro-Israele è quasi impossibile anche per questa pesante realtà di background, nonostante possa contare sul sostegno degli arabi-americani sia tra l’opinione pubblica, sia tra i luoghi di pensiero. Primi fra tutti l’Arab American Institute e l’Arab American Leadership Council PAC (ALCPAC) – istituti guidati entrambi da James Zogby, americano di origini libanesi.

ALCPAC ha dato l’appoggio a 31 legislatori (tra attuali e ex), più o meno bipartisan: ALCPAC ha appoggiato Rush Holt nelle suppletive per il posto da senatore dal New Jersey dello scorso anno. Holt ha perso contro Corey Brooker, considerato uno dei pro-israeliani di ferro: così vanno le cose, spesso, per le lobby pro-Palestina.

@danemblog 

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