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Rete Telecom, due pesi e due misure?

Pronti a stracciarsi le vesti se un’azienda del Made in Italy viene acquisita da un gruppo estero.

Silenti se asset strategici come la rete del gas (Snam) e dell’energia elettrica (Terna) saranno partecipati anche da colossi statali di altri Paesi (la Cina, nel caso specifico).

Distratti, o forse solo indifferenti, se la rete fissa telefonica in rame – di proprietà dell’ex monopolista statale Telecom – potrà essere comprata in futuro senza veti e condizioni da parte di aziende europee (Vivendi già gongola?).

Forse è una semplificazione eccessiva, forse a luglio e ad agosto editorialisti e analisti vanno in vacanza e accantonano pure i tablet, forse solo qui a Formiche.net interessano queste questioni. Eppure il quadro delineato – con una bizzarra atarassia sulle vicende che riguardano Cdp Reti (che possiede le quote statali di Snam e Terna e che vede ora nel suo azionariato con il 35 per cento il colosso cinese State Grid) e la rete Telecom – non è troppo lontano dalla realtà.

Infatti testate on line specializzate sull’energia come Staffetta Quotidiana (grazie a un commento di Gionata Picchio), oltre che tecnici e addetti ai lavori in forma privata, hanno riconosciuto e apprezzato il lavoro di approfondimento di Formiche.net (dai commenti alle ricostruzioni, dalle analisi di Carlo Jean e Francesco Galietti, alle interviste aGiulio Sapelli Matteo Verda e Alberto Forchielli, all’opinione di Diego Gavagnin, per citare solo alcuni).

Oggi, grazie a un articolo di MF/Milano Finanza, che fa il punto sull’entrata in vigore dal 15 agosto di un decreto della presidenza del Consiglio (Dpcm) le cui linee guida erano già chiare, si sottolinea come la tutela della rete fissa in rame di proprietà di Telecom Italia sarà “meno forte”. In altri termini, con il golden power della Difesa che sostituisce sulla scia delle indicazioni europee la vecchia normativa sulla golden share (ossia i poteri anti scalata su asset strategici), lo Stato ha il potere di porre solo condizioni o veti all’acquisto della rete fissa da parte di un gruppo extra europeo (come avviene per i settori tlc, trasporti ed energia). A differenza di quanto era stato previsto – e contestato dalla Commissione europea – dal precedente governo Letta, che aveva incluso nel golden power della Difesa anche la dorsale telefonica tra gli asset strategici, consentendo dunque allo Stato il vaglio in caso di acquisizioni anche di società europee.

Cercheremo di capire che cosa succede negli altri Stati europei sulla materia. Ma fin da ora – da cronisti che solcano da una quindicina di anni questi temi – non possiamo non ricordare tutte le preoccupazioni sulla strategicità nazionale della rete fissa (qui un’analisi del vicedirettore del Giornale, Nicola Porro) e i timori anche recenti sul ruolo degli spagnoli Telefonica che dopo la rottamazione della scatola finanziaria Telco erano diventati di fatto i primi azionisti diretti di Telecom Italia. Timori e preoccupazioni pressocché svaniti, ora.

Non osiamo pensare che verso partner cinesi e francesi ci siano nelle istituzioni e nel governo delle preferenze rispetto a operatori di altri Stati, dunque sarebbe auspicabile che tra un tweet sul Jobs Act e uno sul Senato riformato i nostri governanti vogliano concedere qualche spiegazione di codeste scelte. Posto che siano scelte consapevoli. In caso contrario, ovviamente sarebbe anche peggio.

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