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Vi spiego perché il taglia debito è la vera spending review

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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class e dell’autore, pubblichiamo l’analisi dell’editorialista Guido Salerno Aletta uscita sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi

Davvero curioso, il dibattito che si è finalmente aperto sulla stampa in ordine alla opportunità di abbattere il debito pubblico con misure straordinarie. Probabilmente per non rimanere spiazzati da possibili proposte normative, ora che finalmente a Palazzo Chigi si riflette con attenzione sul tema, soprattutto dopo che Marco Carrai è intervenuto su queste colonne con l’articolo intitolato “Per tagliare il debito, subito un Fondo Patrimonio Italia” che riassume a pieno il senso della proposta sostenuta e più volte rielaborata dall’Associazione L’Italia c’è, animata dal Gruppo Class che edita MF-Milano Finanza.

LE PROPOSTE PULLULANO

Sono quattro anni che battiamo e ribattiamo sul tema, sostenendo che la strategia dell’avanzo primario impoverisce inutilmente il Paese da oltre vent’anni. Ora sono in tanti ad aver cominciato ad approfondire la questione convenendo sulla necessità di cambiare strada. Roberto Poli, ad esempio, con una brillante intervista di qualche giorno fa sulla prima pagina sul Corriere della Sera, ha lanciato molto più di un sasso nello stagno: la sua analisi, e le cifre pubblicate a corredo del suo intervento, hanno messo in moto una sorta di valanga. Paolo Savona ha confermato il suo orientamento, ben noto.

ALLA RICERCA DELLA PRIMOGENITURA

 

Non c’è giorno, così, che non ci sia un intervento pubblico sulla questione. Ma sembra che spesso lo si faccia per appuntarsi sul petto la medaglietta ricordo del primo della classe: c’è il giornale che rivendicato la primazia, rammentando una intervista sul tema a Giuseppe Guarino che risale a prima della crisi, dimenticando di aver lasciato il tema in fondo al cassetto; c’è la studiosa che ha proposto in modo improvvido la costituzione di una sorta di bad bank europea che acquisti a sconto i titoli del debito italiano per poi rivenderli, facendo così gravare le perdite sui risparmiatori; c’è chi ha confutato con dovizia di argomentazioni le ipotesi avanzate circa la ristrutturazione del debito ovvero la costituzione di un Fondo immobiliare posto a garanzia di nuove emissioni obbligazionarie che andrebbero a sostituire i titoli in circolazione, creando una pericolosa segmentazione del debito pubblico italiano.

 

L’INTERVENTO DI BINI SMAGHI

Non c’è artificio retorico migliore della confutazione di ipotesi oggettivamente sballate: assicura a chi scrive competenza e saggezza. Naturalmente, l’efficacia dell’impianto si fonda sulla dimenticanza di altre ipotesi razionali, che vengono infatti confinate in un inciso, come se non fossero mai state prospettate. Lorenzo Bini Smaghi, nel suo articolo di ieri sul Corriere della Sera, così infatti conclude: “Le operazioni straordinarie di riduzione del debito – che non comportano dismissioni del patrimonio pubblico – determinano perdite ingenti per i risparmiatori e scatenano effetti di contagio sui mercati finanziari”.

LA PROPOSTA DI MF/MILANO FINANZA

Il fatto è, ed i lettori di MF-Milano Finanza lo sanno bene, che la proposta di costituire il Fondo patrimoniale degli Italiani si fonda su uno scambio volontario tra titoli di debito in circolazione e titoli di partecipazione al Fondo: chi accetta lo scambio, cessa di essere creditore dello Stato per divenire proprietario di una frazione dell’immenso patrimonio detenuto dalla Pubblica amministrazione. Si può discutere di tutto, ed abbiamo aperto il confronto sui temi concreti: sui criteri per determinare il valore dei conferimenti; sui sistemi di gestione, mediante affitti a lungo termine; sulla necessità di esonerare fiscalmente per almeno venticinque anni le plusvalenze delle quote; sulla opportunità di garantire ai quotisti un rendimento annuo minimo, pari alla somma tra il tasso di inflazione ed il 20% della crescita del pil.

GLI INTERESSI CICLOPICI

Se si scantona dal confronto, qualche motivo ha da esserci. Sarebbe ingenuo ridurre tutto ad una guerricciola tra testate giornalistiche: gli interessi in campo sono ciclopici. Si tratta di rimettere in discussione rendite colossali, visto che il debito pubblico italiano è la più grande industria finanziaria del Paese e tra le più doviziose del mondo intero. In vent’anni, dal 1993 al 2013, ha erogato interessi per 1.650 miliardi di euro, di cui ben 444 miliardi a partire dal 2008. I sacrifici chiesti agli Italiani sono stati del tutto inutili: l’aumento della pressione fiscale ha distrutto capacità produttiva, disincentivato gli investimenti nell’economia reale, mentre il debito è cresciuto più del prodotto.

CHI CONTRASTA L’IDEA DI UN FONDO PER GLI ITALIANI

Mettere tutto il patrimonio fruttifero nel Fondo degli Italiani non significa solo istituire uno strumento idoneo ad abbattere il debito pubblico per un ammontare lordo che potrebbe agevolmente superare i 350 miliardi di euro, significa scombinare gli interessi dei rentier, grandi e piccoli, rimettere in discussione la manomorta pubblica, valorizzare una quantità smisurata di volumi immobiliari già esistenti, spesso all’interno dei centri storici. Significa scontrarsi con gli interessi degli immobiliaristi e dei costruttori, che si illudono di poter ricominciare a cementificare ed edificare ancora e ritengono che questa operazione potrebbe affondare definitivamente il loro modello di business. Non diversamente si illude il sistema bancario, che è vissuto per decenni sui mutui edilizi. Serve un nuovo modello di sviluppo economico, anche a livello locale: i Comuni, a loro volta, devono abbandonare la rendita sul patrimonio immobiliare privato, che è stata garantita loro dall’Imu.

LA SCELTA TRA SACRIFICI ULTERIORI E RIEQUILIBRIO PATRIMONIALE

Si sta giocando una battaglia decisiva, tra i fautori della politica dei sacrifici ed i sostenitori di un riequilibrio patrimoniale tra lo Stato ed i cittadini. Si tratta di decidere se dobbiamo impoverirci per i prossimi venti anni, oppure possiamo ricominciare subito a pianificare un processo di crescita, fondata sul recupero del territorio e sulla valorizzazione di quanto è stato realizzato finora. Riportando efficienza ed economicità di gestione. Perché, è ovvio, lo spreco più grande è il patrimonio pubblico che imputridisce.

LA FATUA E AGOGNATA FLESSIBILITA’

Chi spera di contrattare a Bruxelles una maggiore flessibilità sul deficit, magari sforando il tetto del 3%, sa bene che si tratta di aggiungere altro debito agli oltre 2.000 miliardi che abbiamo già accumulato. Chi pensa che la spending rewiew sia una politica di tagli intelligenti realizzabile velocemente sa bene che il processo di riorganizzazione complessiva dell’apparato amminitrativo richiede anni, pazienza, capacità organizzativa diffusa. Occorre staccare il groviglio di interessi che si muove attorno al patrimonio pubblico per restituirlo alla collettività, per risparmiare almeno 30 miliardi di interessi ogni anno sul debito pubblico. E’ questa l’unica spending rewiew che ci permetterebbe di tornare a crescere. Subito.

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