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Scicli città felice. La discussione, però un’occasione mancata

Scalinata della Chiesa della Consolazione a Scicli. Si presenta il libro di Armando Rotoletti “Scicli città felice”. E’ l’occasione, quella di un volume fotografico che fa opera di memoria immortalando i più belli scorci della cittadina iblea, per parlare di bellezza e di come custodirla, di come coniugare lo sviluppo economico con il rispetto e la preservazione del patrimonio artistico della città. Ad animare il dibattito c’è Armando Rotoletti, c’è lo storico sciclitano Paolo Nifosì, c’è Carlo Ottaviano, c’è Sandro Franchini veneto che ha acquistato casa a Scicli e che si sente sciclitano, c’è Pietrangelo Buttafuoco a fare da moderatore.
Tirando le fila degli interventi la sintesi è questa: Scicli è città felice più per chi a fine della propria attività lavorativa e/o professionale la individua come luogo dove trascorrere la propria vecchiaia che per i giovani o per gli sciclitani, pochissimi infatti sul sagrato. Il motivo per cui Scicli, storicamente, è riuscita a conservare la sua bellezza evitando operazioni discutibili e distruttive come il palazzo a grande altezza di Noto, giusto per fare un esempio, è dovuto al fatto che è stata separata dal resto della Sicilia, per assenza di collegamenti e per assenza di un contatto diretto con la Regione e quindi con Palermo. Scicli è città felice perché anche se non ha grandi chef stellati, buoni oltre che per il palato anche per i rotocalchi, ha tanti ottimi cuochi che possono lavorare ottimi prodotti della terra. E perché è stata capace di non subire pedissequamente le mode.
Sulla base di queste riflessioni, alla domanda: – Cosa augurarsi perché la bellezza di Scicli rimanga intatta? – la risposta è stata – L’isolamento. Augurarsi che l’autostrada non arrivi mai -.
Ecco. Non c’è da essere d’accordo neanche un po’ con questi teoremi. Perché una cosa è avere l’età della pensione, avere deciso di imboccare quel corridoio alla cui fine c’è la luce bianca sentendosi felici per questo, una cosa è avere 18 anni e vivere a Scicli con il padre o il nonno che hanno costruito la loro ricchezza sui primaticci, e decidere se andare a studiare (ovviamente fuori) non dando futuro e discendenza alla cura di quella stessa terra.
Perché non c’è bisogno di essere storici, economisti, o storici dell’economia per sapere che è proprio l’assenza di collegamenti, soprattutto di strade ferrate, a causare il ritardo della Sicilia. A impedire il completo e più redditizio sfruttamento dei prodotti agricoli, tra cui i primaticci, appunto. Problema questo risolto, in modo deleterio, in altro modo. Con la Politica Agricola Comune, figlia del Trattato di Lisbona, infatti, i prodotti agricoli distribuiti in Sicilia vengono dal Maghreb e certamente non dagli orti dei piccoli agricoltori locali. Mentre il mondo produttivo del Nord dell’Italia per anni ha pianto per la delocalizzazione in Cina, in Sicilia la Cina c’è l’ha dall’altra parte del Mediterraneo. Ma questo nessuno lo dice con forza.
Non ce la si può, dunque, cavare dicendo che è meglio starsene lontani da Palermo. Perché certi problemi non si possono risolvere giocando solo sui vantaggi del localismo ma è indispensabile agire su azioni di sistema. Semmai il problema è che anche quando a Palazzo delle Aquile, sullo scranno più alto, c’è stato uno sciclitano le giuste istanze non sono arrivate dove dovevano arrivare.

Quello che rende la provincia iblea così diversa dalle altre provincie siciliane, e che in questa fase storica le conferisce un certo appeal facendo sì che venga preferita ad altre mete per un certo turismo, anche un po’ elitario e ricercato, non è certamente l’isolamento, bensì l’enfiteusi. Con l’enfiteusi, si spacca il latifondo e si creano le basi per un maggiore sviluppo della libera iniziativa. Un maggiore spirito imprenditoriale, diffuso, ha fatto sì che paesi come Ispica, come Scicli, d’impronta agricola, abbiano costruito, un chicco di grano sopra l’alto, un discreto benessere capace di mantenere i figli all’Università e farne dei professionisti.
Maggiore iniziativa privata impedisce il proliferare dei meccanismi clientelari con cui in altre parti si pretende un posto di lavoro. Maggiore iniziativa privata permette di creare le basi per la nascita di una maggiore coscienza civica. Il problema è stato semmai che un’iniziativa privata prevalentemente di matrice contadina porta con sé una certa ruvidezza. Una scarsa propensione all’innovazione. Al cambiamento. E anche una scarsa capacità collettiva. Dieci viddani, dieci trattori, infatti.
Un libro fotografico fa memoria. Ed è una buona notizia. Scicli e la provicia Iblea vanno preservate, ovvio. Ma oggi preservare vuol dire fare manutenzione. E fare manutenzione costa. Occorre avere un piano di sviluppo economico importante che non può essere quello di fare delle cittadine iblee felici ospizi per giornalisti e scrittori.

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