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Così Renzi e Pinotti hanno “liberato” la rete Telecom

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Luisa Leone apparso su MF/Milano Finanza, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Meno blindata Telecom Italia e la sua rete. Da venerdì scorso il gruppo delle tlc e la sua dorsale telefonica non sono più coperti dalle mire degli operatori europei, ma solo da eventuali scalate ostili dei player extra Ue. Il 15 agosto è entrato infatti in vigore il nuovo decreto della presidenza del Consiglio dei ministri (Dpcm) che individua gli asset del settore Difesa coperti dal golden power, ovvero i nuovi poteri antiscalata che hanno sostituito la vecchia golden share. E la novità principale del provvedimento, rispetto al precedente decreto (che viene abrogato), è proprio che tra gli asset protetti non figurano più «le reti e gli impianti utilizzati per la fornitura dell’accesso agli utenti finali dei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale e dei servizi a banda larga». Una marcia indietro rispetto alla norma inserita in fretta e furia nel golden power sulla Difesa nell’ottobre 2013 (con il decreto numero 129), come mossa difensiva rispetto al rafforzamento della spagnola Telefonica in Telco, primo azionista di Telecom Italia. La decisione dell’esecutivo, anticipata da MF-Milano Finanza lo scorso 21 marzo, sarebbe legata al fatto che il provvedimento anti-spagnoli era finito nel mirino della Commissione Ue; senza contare che tutti i pareri consultivi (da quelli del Parlamento all’Agcom, fino al Consiglio di Stato) avevano sottolineato la necessità di chiarire la nuova disciplina, che duplicava la protezione della rete telefonica, individuata come asset strategico sia dal Dpcm sul comparto Difesa che da quello su Tlc, Trasporti ed Energia.

Ora, con il nuovo decreto si corregge questa sovrapposizione e la dorsale rimane protetta solo dalle norme in merito a Telecomunicazioni, Trasporti ed Energia, che prevedono una tutela meno forte, perché permettono al governo d’intervenire ponendo veti e condizioni solo se le operazioni vedono coinvolto un operatore non europeo.

L’altra importante novità del nuovo golden power sulla Difesa è che oltre a confermare gli asset protetti in precedenza (tutti tranne la rete Telecom), individua, all’articolo 2, anche gli asset da proteggere perché importanti per la sicurezza nazionale.

Questi ultimi, come spiega la relazione illustrativa del provvedimento, sono stati individuati dal ministero dell’Interno e comprendono diverse classi di asset. Innanzi tutto risultano coperti i sistemi di osservazione ottici e radar per «la sorveglianza e il controllo del territorio, nell’ambito de compiti di tutela dell’ordine pubblico, della sicurezza del soccorso pubblico e della difesa civile». Il nuovo decreto protegge anche i «sistemi propulsivi» e di trasmissione di potenza e comando installati su veicoli marittimi, terrestri o aerei utilizzati sempre ai fini di sicurezza nazionale. Non solo, sotto l’ombrello del nuovo Dpcm ricadono anche gli asset relativi ai «sistemi di protezione balistica», quelli «di monitoraggio in tempo reale della radioattività di proprietà del ministero dell’Interno», ma anche alcune reti tlc. Queste ultime però sono solo quelle «di proprietà del ministero dell’Interno», quelle della «rete Interpolizia in uso alle forze di polizia», e le «reti private virtuali» utilizzate dalle amministrazioni statali «competenti in materia di ordine e sicurezza pubblica». Insomma, il ventaglio è ampio e mette sotto protezione diversi comparti ad alto valore aggiunto dal punto di vista tecnologico.

Infine, il decreto, come il precedente, prevede che per le operazioni infragruppo non vengano di norma applicati i poteri speciali. In pratica se fusioni, scissioni, cessioni e trasferimenti di rami d’azienda avvengono all’interno di uno stesso gruppo ricorre l’obbligo di informativa al governo, ma non si prevede un intervento. Salvo che non si disponga di «elementi informativi circa la minaccia di un grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale». Elementi informativi che potrebbero essere acquisiti «attraverso i diversi canali istituzionali, non esclusi quelli di intelligence», per evitare per esempio che le operazioni infragruppo facciano da schermo per trasferire all’estero «attività, tecnologie o informazioni protette dal Dpcm.

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