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Il premier libico si dimette. Perché e con quali prospettive

Il governo libico ieri si è dimesso, rimettendo il mandato nelle mani del nuovo Parlamento eletto meno di un mese fa. La decisione del primo ministro, Abdullah Al-Thinni (nella foto) è arrivata al termine di una settimana intensissima. Tripoli è stata infatti in preda delle milizie di Misurata e lo stesso premier è stato pesantemente nel mirino con la propria abitazione incendiata e gli uffici usati come bersaglio di non amichevoli mitragliatrici.

In questo contesto, il vecchio Parlamento (GNC) ha sbraitato nel tentativo di auto-legittimarsi. La comunità internazionale, Italia inclusa, ha invece riconosciuto quale interlocutore informale la nuova Camera (HoR). Sarà quindi il nuovo organo rappresentativo ad indicare il titolare dell’esecutivo. Ecco quindi le ragioni per le dimissioni di Al-Thinni. Il successore di Ali Zeidan, già ministro della Difesa e personalità apprezzata all’estero (ben conosciuto dall’Italia) era arrivato alla guida del governo pochi mesi fa e su indicazione del GNC.

Nonostante questo, ha saputo tenere testa e anzi sconfiggere i Fratelli musulmani e le altre componenti radicali che hanno invano tentato di sbarazzarsi di lui. Il suo nome è non a caso in cima alla lista dei cinque possibili candidati alla funzione di primo ministro elaborata dai parlamentari della nuova Camera. Come riporta Libya Herald in un articolo precedente alla notizia delle dimissioni del governo, esisterebbe una shortlist di nomi.

Il primo è appunto Al-Thinni. Vi è poi Ashur Shwuail che proviene dalle forze di polizia, ed è stato ministro degli Interni nel governo di Zeidan prima di dimettersi. Ha anche preso una linea dura contro gli islamisti proponendo un’azione militare contro di loro, bloccata però da Zeidan che ha preferito (senza successo, come si è visto) la via del dialogo. Libya Herald cita quindi Omar Al-Habbasi, avvocato, attivista della società civile e blogger nonché Ali Al-Tikbali, deputato eletto a Tripoli e anch’egli oppositore delle frange islamiste.

Vi sarebbe infine la figura, molto interessante, di Aref Al-Nayed, ambasciatore libico negli Emirati Arabi Uniti e il presidente della squadra di calcio di Bengasi. E’ anche un teologo islamico, ma in contrasto con la linea più radicale espressa dall’attuale Gran Mufti, lo sceicco Al-Saik Ghariani. Al-Thinni e Al-Nayed sono probabilmente le figure che maggiormente possono garantire un processo riformatore e inclusivo della Libia. Il premier dimettendosi e rimettendo il suo mandato nelle mani del Parlamento ha compiuto un gesto di attenzione non banale verso i nuovi decisori e a maggior ragione rappresenta il candidato più naturale.

Il tema a questo punto, per la comunità internazionale, è capire come sostenere il nuovo corso che verrà. L’Italia, l’Europa dovranno mettere mano al portafoglio e probabilmente portare “foot on the ground”. Non lo possono fare gli Usa ma neanche le potenze regionali che sono fra loro in costante e pericolosissimo scontro. Tocca a noi, fra Roma e Bruxelles, dimostrare capacità di comprensione delle difficoltà e anche di essere determinati nel risolverle.

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