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Ucraina, così la Nato deve contrastare la guerra non lineare di Putin

Dopo quanto avvenuto in Ucraina, l’Alleanza deve tornare a dare priorità alla sua missione originaria: quella di dissuadere un’aggressione da Est. Deve cioè garantire la difesa dei territori degli Stati membri e il coupling con il deterrente nucleare americano. In altre parole, quest’ultimo collega la guerra possibile (quella convenzionale limitata) con la guerra razionalmente impossibile (quella nucleare), per rendere impossibile anche la prima. E’ cessato per la NATO il periodo delle “distrazioni strategiche”, caratterizzato dagli interventi fuori area, di peacekeeping, peace-enforcing, antiterrorismo e contro-insurrezione. E’ caduto poi l’assunto che la Russia fosse destinata a europeizzarsi, divenendo partner dell’Alleanza in un sistema paneuropeo di sicurezza. Ciò era dato per scontato nel Founding Act del 1997 e dagli accordi di Pratica di Mare sul Consiglio NATO-Russia del 2002.

La dissuasione non dipende solo dalle capacità militari, ma dalla sua credibilità politica. Non è possibile per la NATO tornare alla strategia del passato. Essa era basata sulle eleganti semplicità del mondo bipolare. Allora, occorreva opporsi a una massiccia minaccia militare. La sovversione, realizzata da Mosca con la penetrazione comunista nelle masse occidentali, era stata sconfitta dal Piano Marshall. Dopo la rivolta ungherese del 1956, la sua minaccia era scomparsa. Oggi le cose sono diverse. In Ucraina Putin ha adottato un nuovo tipo di strategia, coerente con la situazione della Russia dopo il collasso dell’URSS. E’ quella della “guerra non-lineare”. Essa è stata teorizzata dalla brillante “eminenza grigia” del presidente russo, Vladislav Surkov, in un racconto, pubblicato nel marzo scorso, qualche giorno prima dell’annessione della Crimea.

In esso, Surkov ipotizza che un orfano della “quinta guerra mondiale” – la prima guerra non-lineare del mondo – veda il mondo solo in due dimensioni: bianco o nero; pace o guerra; amico o nemico. Invece, afferma Surkov, nella nuova situazione, i vecchi paradigmi geopolitici, dati per scontati nel pensiero strategico occidentale, dalla Grecia in poi, non sono più validi. I conflitti sono diventati permanenti. I comportamenti strategici sono “liquidi”. Singole regioni e città formano coalizioni temporanee e mutano di alleanza nel corso dei conflitti. Coalizioni temporanee hanno sostituito le alleanze permanenti. La guerra fra due eserciti contrapposti è stata sostituita dalla guerra di tutti contro tutti. In essa, la componente militare regolare, il combattimento, la battaglia hanno un’importanza marginale rispetto ad altri strumenti di lotta. La guerra cibernetica, quella delle informazioni e le pressioni economiche assumono rilevanza fondamentale. Le dichiarazioni di pace divengono strumenti di guerra.

Non si tratta di fatti nuovi nella storia. La guerra non è un fenomeno tecnico-militare, ma politico-sociale-economico-informativo. Nella nostra era dell’informazione, le dimensioni psicologiche, la disinformazione, il mantenimento del segreto sulle proprie vere intenzioni hanno crescente rilevanza. La strategia non tende più a realizzare la vittoria con una battaglia decisiva. Nelle storia è stato solo raramente così. La guerra ha sempre avuto varie componenti. L’uso della forza ne è solo un elemento. Dall’avvento delle armi nucleari è divenuto più pericoloso che nel passato. L’aggressore deve perciò tendere a conseguire piccoli risultati cumulativi, che non siano tali da provocare una reazione troppo forte del suo avversario. La scienza militare la chiama “strategia del carciofo”. Un esempio classico al riguardo è stata quella di Hitler negli anni trenta, prima di fare un passo troppo lungo con l’aggressione alla Polonia, provocando l’entrata in guerra delle democrazie occidentali. La dimensione comunicativa e l’uso di simboli sono essenziali. Basta pensare all’uso strumentale degli interventi umanitari, delle rivolte delle minoranze etniche, dello schieramento in Crimea dei “piccoli uomini verdi”, alla negazione di ogni intervento diretto e allo sfruttamento da parte di Mosca delle divisioni esistenti in Occidente, utilizzando anche i legami d’affari con singole personalità politiche e imprenditoriali.

Le semplicità e le certezze della guerra fredda sono state sostituite dall’ambiguità. La disinformazione è determinante. Putin è un maestro al riguardo. Deve essere molto cauto, poiché la Russia ha una potenza non solo economica, ma anche militare inferiore a quella dell’Occidente. La sua unica speranza di successo sta nello sfruttarne le divisioni e le indecisioni, mantenendo l’iniziativa e obbligandolo a parare le sue mosse. E’ quanto ha fatto con indubbi successo e maestria dall’inizio della crisi ucraina.

Allora che può fare la NATO, non tanto per l’Ucraina – in cui è ormai spiazzata – quanto per evitare di essere messa di fronte al “tutto o niente” in caso di aggressione agli Stati Baltici? A parer mio, ben poco oltre le misure limitate, preannunciate per il Summit del Galles. Pur nella loro limitata efficacia, esse sono importanti come segnale della solidarietà dell’Alleanza. Lo schieramento a rotazione di forze negli Stati esposti e la predisposizione di una forza d’intervento rapido, dovrebbero indurre il Cremlino a pensarci due volte prima d’intervenire militarmente a sostegno di possibili rivolte delle popolazioni russofone. Tali forze non possono arrestare un’aggressione, ma innescare un’escalation immediata, come era nel caso del deterrent patrolling della Forza Mobile della NATO nelle aree in cui non erano schierate permanentemente forze alleate, dalla Norvegia settentrionale alla Turchia.

L’efficacia di tale tipo di dissuasione “mobile” – visto che sembrano esclusi schieramenti permanenti – dipende dalla tempestività della decisione politica d’intervenire. Essa potrebbe essere garantita solo con la delega dell’autorità di schierare tale forza al Segretario Generale della NATO. Mi sembra improbabile però che tale misura venga approvata. Lederebbe la sovranità degli Stati. Si rimarrà perciò nell’ambiguità e nell’incertezza. E’ però il massimo che possa essere realizzato. Va poi tenuto presente che all’Alleanza mancano le forze convenzionali per respingere un’aggressione massiccia, per sostenere le deboli forze d’intervento rapido, garantendo la credibilità della dissuasione estesa. E’ improbabile che i bilanci militari europei vengano adeguati per creare tali forze convenzionali “pesanti”. Comunque, anche se lo fossero, è dubbio che tali unità possano essere schierate per tempo. Non resta che la minaccia, poco credibile peraltro, di un ricorso alle armi nucleari. E’ il prezzo che l’Europa deve pagare per aver tanto ridotto i suoi bilanci militari. Ma…. non si può “avere la botte piena e la moglie ubriaca”.

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