Se volessimo caratterizzare con un solo aggettivo il tipo di minaccia che affrontano gli esperti di controterrorismo oggi è “frammentata”, ovvero una minaccia molto più complessa e diversificata di quanto avessimo sperimentato solo 4 o 5 anni fa. Questa maggiore diversità è ideologica, geografica e tattica. Alcuni elementi costanti sono tuttavia individuabili negli ultimi sviluppi. Una di queste naturalmente è ciò che definiamo “Aq-Core”, ovvero il nucleo di al Qaeda.
Esso si è ridotto, ma non è venuto meno e continua a essere una minaccia per gli Stati Uniti e sia per l’Fbi sia per il Dipartimento di sicurezza interna, una fonte di preoccupazioni quotidiane, pianificando azioni, direttamente o attraverso le numerose affiliazioni. Aq-Core si è dimostrata incredibilmente efficace nello sviluppare queste ultime. Rispetto a qualche anno fa, infatti, il numero delle affiliazioni è aumentato, così come è aumentata la loro capacità.
Quella che riteniamo la più efficace e letale è sicuramente “al Qaeda nella penisola araba” (Aqap), cui sono attribuiti diversi sventati attacchi sul suolo americano. Aqap continua a essere molto attiva a partire dai suoi santuari in Yemen e a rappresentare una minaccia di prima categoria, persistente e competente, agli Usa. Oltre ad Aq-Core e Aqap una delle minacce cui stiamo lavorando da qualche anno con grande applicazione sono le attività degli estremisti violenti cresciuti dalle nostre parti. Gli autoctoni costituiscono la maggioranza delle minacce sventate negli ultimi anni sul nostro suolo.
Sono bersagli difficili. Sono difficili da trovare per natura, perché operano da soli e non si affidano alle reti, procedendo in solitario dalla radicalizzazione alla mobilitazione. Per questo è difficile seguirli con le procedure standard di investigazione. Essendo sempre più consapevoli dei nostri metodi e delle nostre tecniche, ci costringono a stare sempre un passo avanti e a rimanere “creativi” nel nostro approccio di contrasto. Hanno un’altra caratteristica, quella di essere senza alcun dubbio influenzati dalla propaganda on line. Abbiamo assistito a un’esplosione di tecniche di comunicazione, che vanno dai social media ai forum on line: non vi è praticamente limite a quello che si può trovare su Internet.
Vi è in pratica un accesso diretto di contenuti molto ben prodotti e confezionati, diretti a far propaganda presso un pubblico di estremisti violenti occidentali, con effetto e impatto sicuro. In questo quadro di minacce emerse negli ultimi anni, la Siria occupa una posizione unica, perché in un modo o nell’altro le combina tutte quante insieme. Non vi è alcun dubbio che la Siria rappresenti una location di grande importanza per Aq-Core, con basi e campi di addestramento che fanno riferimento, direttamente o indirettamente a individui legati al nucleo alqaedista.
Nel panorama delle affiliazioni, la Siria ne ospita due tra le più micidiali dopo Aq-Core e Aqap: lo Stato islamico di Iraq e Levante (Isil) e Al-Nusra front. Queste ultime sembrano talora in guerra per la supremazia su questo luogo caldo del mondo, ma restano due temibili organizzazioni dotate di esperienza tattica e di combattimento ed entrambe intenzionate chiaramente a colpire il territorio americano. La Siria infine è rilevante per la nostra popolazione di estremisti autoctoni. Nella nostra azione investigativa abbiamo rilevato questa costante: molti dei soggetti indagati sono ispirati dalle attività degli estremisti in Siria; molti intendono raggiungere quel Paese e legarsi a gruppi come Isil o al-Nusra front per prendere parte al jihad.
Il viaggio in Siria rappresenta il segnavia di gran lunga più indicativo di intenti estremistici negli States. Come più volte sottolineato dal direttore dell’Fbi, la Siria sta influenzando il fronte globale del jihad in modo più pervasivo di quanto fece per esempio la Bosnia negli anni Novanta e l’Afghanistan successivamente. Una delle ragioni per cui i nostri estremisti autoctoni desiderano raggiungere la Siria è la propaganda e la glorificazione di questo viaggio, in particolare sui media on line divorati da questi radicali. La domanda che si pone a tutti noi ovviamente è: che fare? Per riassumere il tutto in una parola, la risposta è: partnership. Questa è davvero una crisi e un problema globale, ben al di fuori dalla portata di ognuna delle nostre organizzazioni o singole nazioni.
Per questo bisogna cominciare allargando il cerchio a partire dai nostri alleati più stretti, che sono – per l’Fbi – la comunità d’intelligence. Insieme al Dipartimento di sicurezza interna abbiamo costituito un team speciale di agenti ed analisti collocati che si occupano specificamente di individuare soggetti di interesse ritornati negli States dalla Siria o che intendono raggiungere la Siria, e di sviluppare strategie di contrasto adeguate. Lavoriamo a stretto contatto anche con le forze di polizia locale e statale – è a questo livello che infatti la loro pericolosità tenderà a mostrarsi per prima.
La velocità con cui riusciremo ad avere i dati e le notizie di reato su questi soggetti diventa un elemento-chiave per restare un passo avanti alla minaccia. L’anello successivo delle partnership è costituito dalle comunità, che dobbiamo raggiungere aprendo linee di comunicazione e di awareness. Abbiamo qui raccolto alcuni successi nel 2006-2008, fermando individui che intendevano raggiungere la Somalia per unirsi ad al-Shabab. Ma la sfida è molto impegnativa: non esistono singole comunità identificabili da cui provengono i combattenti siriani. Si tratta infatti di un gruppo molto articolato in termini di retroterra socio-economico e religioso, formato da individui di diverse età e di entrambi i sessi, che, nell’insieme, sembrano rispecchiare l’immagine stessa dell’America.
Estratto dall’intervento pronunciato durante la conferenza The Syrian conflict’s foreign fighters: concerns at home and abroad, Csis, Washington DC
Andrew McCabe Executive assistant director per l’antiterrorismo dell’Fbi
Articolo pubblicato sul numero di luglio 2014 della rivista Formiche