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La guerra di religione del Califfato e la Chiesa Cattolica

E’ in atto una “guerra di religione e di annientamento” e a combatterla è lo Stato islamico. Si tratta di una guerra che “non va confusa o ridotta ad altre forme, da quella bolscevica a quella dei khmer rossi”. Questa guerra “strumentalizza il potere alla religione e non viceversa. La sua pericolosità è maggiore di al Qaeda”. E’ quanto si legge sull’ultimo numero della Civiltà Cattolica, la rivista di gesuiti diretta da padre Antonio Spadaro e sottoposta al vaglio della Segreteria di stato vaticana. Guerra di religione, dunque: parole che mai, in questi mesi, erano state pronunciate.

“LA RISPOSTA PEGGIORE? UNA CONTROFFENSIVA DI STAMPO RELIGIOSO”

Padre Luciano Larivera, estensore del saggio, precisa subito, però, che a combatterla sono i miliziani del califfato, un “proto-Stato terrorista” che “domina su circa sei milioni di abitanti, offre servizi pubblici e combatte la corruzione dei funzionari pubblici per conquistare le menti e i cuori dei suoi sudditi sunniti”. E la risposta peggiore da dare a questa guerra di religione, sostiene il bimensile, è “una controffensiva armata di stampo religioso, anche soltanto intra-islamico”. Il risultato sarebbe uno soltanto: “Si radicalizzerebbe l’islamismo dello Stato islamico nelle menti e nei cuori di molti musulmani”. Niente armi, dunque, ma solo promozione di “soluzioni diplomatiche di compromesso intelligente” e soccorso “alle popolazioni in emergenza umanitaria”. Per fare questo, si legge ancora, vanno “potenziati gli organismi internazionali e le istituzioni statali chiave”. Notevole anche la precisazione che viene sottolineata poco oltre: “La chiesa non sostiene un pacifismo imbelle e ingenuo al fine di condannare un militarismo che assolutizza l’efficacia della violenza”.

LA POSIZIONE DI GIULIANO FERRARA

Se la Civiltà Cattolica parla di guerra di religione in atto da parte di uno degli attori in campo, scongiurando al contempo che la risposta da parte occidentale si ponga sullo stesso terreno, il direttore del Foglio Giuliano Ferrara la pensa altrimenti: “E’ questa una guerra di religione, della cui ferocia ultimativa e coesiva, appunto religiosa, solo un fronte è consapevole, il loro”. Ferrara, “consapevole di dire qualcosa di sconcertante”, spiega che si tratta di un “crudele gioco di intimidazione in cui la palma della vittoria in battaglia è già conquistata dall’islam, la religione che ha tappato la bocca a un Papa di Roma, che ha reso riluttante e timido un potere imperiale e internazionalista come quello americano”.

“IL PUGNALE ISLAMISTA PUNTATO ALLA GOLA DELL’OCCIDENTE”

E di occidente ne ha scritto abbondantemente venerdì il direttore di Repubblica, Ezio Mauro: “Nel momento in cui due parti del mondo lo designano contemporaneamente come il nemico finale e l’avversario eterno, l’Occidente ha una nozione e una coscienza di sé all’altezza della sfida? Ha almeno la consapevolezza che quel pugnale islamista è puntato alla sua gola?”. Perché è l’occidente – spiega – “il nemico definitivo del Califfato”.

L’ATTIVISMO VATICANO

Sullo sfondo, ma giocoforza attiva, c’è la Chiesa cattolica. Il Vaticano dove la diplomazia è tornata a fare da regina, con il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, che è considerato tra i migliori prodotti della celeberrima e gloriosa scuola diplomatica della Santa Sede. Da più parti si sono levati dubbi sulla lentezza della risposta all’avanzata delle milizie jihadiste nelle città e villaggi abitati dai cristiani, cacciati di casa e derubati d’ogni cosa. Lo ha fatto il Corriere della Sera con Luigi Accattoli, lo hanno fatto con più frequenza e forza i quotidiani francesi, che hanno anche accusato il Papa di aver dato risposte “timide”, nonostante i ripetuti appelli durante gli Angelus e le lettere inviate a Ban Ki-moon e al presidente curdo.

“NO A SOLUZIONI MILITARI VIOLENTE”

Il cardinale Parolin, qualche giorno fa, ha auspicato soluzioni politiche, le uniche in grado di ristabilire l’ordine e di favorire il rientro delle popolazioni costrette all’esodo: “No a soluzioni militari violente”, ha detto. Posizione che non appare identica a quella esposta dall’osservatore permanente alle Nazioni Unite, mons. Silvano Maria Tomasi, che pur condividendo la necessità di tagliare i rifornimenti di armi ai miliziani e di coinvolgere i paesi della regione, ha anche ribadito che “usare la forza per fermare il genocidio è giusto”.

IL PATRIARCA CALDEO CHIEDE UNA FORZA DI PEACEKEEPING

Il patriarca di Babilonia dei caldei, mons. Louis Raphael I Sako, intanto, chiede al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di creare “una forza di peacekeeping in collaborazione con le forze di sicurezza irachene e i peshmerga curdi, al fine di liberare la piana di Ninive”, affinché le minoranze costrette alla fuga possano tornare nei rispettivi villaggi. Necessario, ha detto poi Sako, è che si stabiliscano “forze di polizia locale che comprendano rappresentanti delle diverse componenti presenti nella piana di Ninive, per proteggere i villaggi”.

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