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Referendum in Scozia, un passo verso l’Europa dei muri e del provincialismo

Commento pubblicato oggi da L’Arena di Verona, Giornale di Vicenza e Bresciaoggi

Già nella sua parte orientale e più distante l’Europa è alle prese col conflitto, militare ed economico, fra Russia e Ucraina. Se poi sul versante occidentale del continente, cioè nel giardino di casa, l’antica Gran Bretagna si spacca, vien da chiedersi che senso potrà ancora avere la conquista più grande dei settant’anni di pace. Una conquista che ha una parola precisa per essere evocata e definita: unione.

Unione europea, com’è diventata l’Europa dei ventotto Paesi, ormai. I quali si sono lasciati ogni rancore o recriminazione alle spalle per stringersi la mano e cercare di vivere insieme e al meglio. Un futuro da amici o da alleati, al posto del passato da nemici o separati in casa. E’ la più importante rivoluzione della modernità: aver scoperto non solo che la guerra è orribile, ma che farla (o avallarla) porta solo altro male.
Ma la doccia scozzese sull’Inghilterra, questo pur democratico (ci mancherebbe!) referendum del distacco che vedrebbe i secessionisti in vantaggio, rischia d’avere un effetto esplosivo devastante, perché imprevedibile, su tutti i Paesi vicini e lontani.

Se dopo trecento anni di convivenza gli scozzesi diranno addio senza rimpianti, e oltretutto in un contesto benestante e pacifico con Londra che ha, inoltre, riconosciuto da tempo ampi poteri di auto-governo, che faranno, allora, i catalani in Spagna? E i corsi in Francia? E perfino i leghisti nel Nord Italia: torneranno mica a sognare la loro Padania? A quale invito di “far fronte comune” tra europei si potrà ricorrere -sull’economia, in politica estera, con l’Erasmus-, se neppure le nazioni europee sono capaci di restare unite? Non i muri, ma i ponti rappresentano la svolta del nostro tempo. Giusto venticinque anni fa la Germania divisa, si riunificava.

Ora il Regno Unito -Unito, appunto-, rischia di dividersi: l’esatto contrario dell’intero processo europeo che a Berlino ha visto e vissuto il suo momento più libero e felice. Dividersi per ragioni fiscali, distruggere decenni di storia e di geografia per meri calcoli di potere, decidere di rompere tutto anche per le più nobili motivazioni culturali o linguistiche o di orgoglio nazionale, significa buttare nel cestino l’insegnamento che i grandi statisti -e i loro popoli- hanno dato dalle rovine dell’ultima, davvero ultima guerra mondiale.

Ogni nazione ha un suo De Gasperi nelle vene. Qualcuno che all’indomani della catastrofe ha detto: proviamo a fare l’opposto di quel che abbiamo fatto per secoli. Proviamo a camminare insieme, a condividere, a mescolare le nostre meravigliose diversità. Il referendum in Scozia è un passo verso l’Europa del provincialismo, che è la fine dell’Europa.

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