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Tutte le potenzialità del Fondo sovrano italiano, ovvero la Cassa depositi e prestiti

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

I Fondi Sovrani sono fondi di investimento detenuti da Stati, appunto, sovrani, e quindi hanno un rilievo soprattutto strategico e geopolitico.
Quelli più noti e operativi sono a tutt’oggi in numero di 75, e la graduatoria dei più performanti vede in testa la Cina, con ben quattro Fondi Sovrani, gli Emirati Arabi Uniti, con sette Fondi, la Norvegia con il suo Gpf che gestisce i redditi del petrolio del Mare del Nord per sostenere il welfare nazionale, e l’Arabia Saudita con due Fondi Sovrani, anch’essi nati per gestire i proventi petroliferi.

Le nazioni dotate di Fondi Sovrani rilevanti sono oggi in numero di 43, ma molti Paesi sono in fase di costituzione di queste strutture politico-finanziarie, che sono sempre meccanismi di stimolo e di direzione dello sviluppo economico.
C’è addirittura un Sovereign Fund anche in Guinea Equatoriale, in Mauritania, in Ghana.
Il Fondo Sovrano Italiano, nato nelle more del Governo di Enrico Letta, è di fatto la ben nota Cassa Depositi e Prestiti che, nei sogni e nelle intenzioni di molti tecnici e banchieri italiani dovrebbe diventare la Nuova Iri, la grande struttura pubblico-privata che dirige e rafforza tutto il sistema-Paese e lo rifornisce, con specifici criteri, di liquidità e soprattutto di linea strategica sul mercato-mondo.
Ma noi siamo un oggetto di affezione per i fondi sovrani stranieri, che sono passati rapidamente da 500 milioni di investimenti in Italia, fino agli attuali 1,8 miliardi.

Sessantadue Fondi Sovrani di rilievo internazionale detengono, oggi, partecipazioni azionarie nel 36% delle società quotate, e non è poco. Il Fondo che più è attivo in Italia è il già citato Fondo Norvegese, che ha investito da noi 4,7 miliardi in azioni 6,3 miliardi in obbligazioni con all’interno 4,2 miliardi in Titoli di Stato.
Il nostro Fondo Strategico Italiano, di recentissima costituzione, ha come criterio l’investimento in aziende con fatturato annuo netto di almeno 240 miliardi e numero medio di dipendenti non inferiore ai 200 elementi.
Siamo già ben fuori dal perimetro delle Pmi, naturalmente, ma andiamo a vedere meglio.
Vuole, il Fsi, aumentare la disponibilità al capitale di rischio delle nostre imprese, attrarre in Italia Investimenti Esteri Diretti, ma è una Società per Azioni e non un vero e proprio Fondo.

Vuole rimanere sempre in minoranza nella compagine azionaria, il Fsi, si occupa di continuità aziendale e vive in un contesto di modernizzazione a medio e lungo termine delle aziende in cui si trova.
E’ stato interessato, il Fsi, da un investimento di 500 milioni di euro da parte del Kuwait; e sta investendo seriamente nel settore turistico e in quello della
Cultura.

Bene: l’idea di dotare anche l’Italia di un Fondo Sovrano, nella linea più moderna di altri di una Spa della Cassa Depositi e Prestiti, dato che non siamo un Paese a monocultura produttiva o dotato di immense materie prime, è stato probabilmente tra i migliori successi del Governo di Enrico Letta.
Ma le piccole e medie imprese, estranee statutariamente dal raggio di azione del nostro Fondo Strategico Italiano? Non sono forse strategiche anch’esse, e soprattutto non devono essere portate a crescere stabilmente nel medio-lungo periodo? Certamente.
E’ vero che il supporto alle PMI è obiettivo primario della Cassa Depositi e Prestiti, azionista di riferimento del FSI, ma la questione non è ancora ben chiara.

Grazie all’attuale ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il Fondo può oggi operare nel settore alberghiero, nell’agroalimentare e nella grande distribuzione, settori iper-frammentati ma che potranno, lo si deduce facilmente dal contesto legislativo, formare dei Consorzi per avere i benefici (e i controlli) del Fsi.
Il Fondo dei Fondi per le Pmi è in fase di costituzione, con risorse generate dalla Cdp, assicurazioni, enti previdenziali e Fondi Pensione.
Ecco, se mi posso permettere alcuni consigli, io penso che si potrebbe unire al Fondo dei Fondi una quota più rilevante di Fondo Strategico Italiano, che ha il know-how per far crescere le aziende e far uscire le Pmi dal loro pericoloso nanismo, e unire al suo capitale una quota proveniente dalle Fondazioni Bancarie e dalle primarie boutique finanziarie italiane.

Inoltre, oltre a questo assetto patrimoniale più ampio, penso che sia necessaria una nuova analisi statistica (è un lavoro per l’Istat, naturalmente) che renda possibile una ricognizione reale del nostro panorama Pmi e che permetta alle stesse di comunicare direttamente con il management di Fsi e del Fondo dei Fondi di nuova costituzione. Far sapere è quasi più importante che fare, oggi, e soprattutto occorre una ricognizione delle banche durante la loro gestione dei Tltro che sono in arrivo da parte della Bce, che dovrebbero gestirli, rapidamente si intende, per famiglie e imprese in un contesto di valutazioni legate anche al Fondo dei Fondi.

Si dovrebbe poi favorire la rapida costituzione, ne abbiamo già parlato qui, di un mercato-titoli delle Pmi parallelo ma separato a quello delle maggiori imprese quotate in Piazza Affari, e creare anche, tramite le nostre banche, un mercato reale dei titoli delle nostre Pmi, da gestire anche sui mercati esteri, e questo è il lavoro precipuo delle nostre boutique finanziarie.
Ma bisogna fare presto, la casa brucia e, se aveva ragione Karl Kraus quando sosteneva che, “quando la casa brucia, si può lavare il pavimento o pregare. Comunque pregare è più pratico” ma, in questo caso, la preghiera è la più alta forma di azione.

Giancarlo Elia Valori è professore di Economia e Politica Internazionale presso la Peking University e presidente de “La Centrale Finanziaria Generale Spa”

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