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Vi spiego perché non mi convince troppo il piano anti-Isis di Obama. Parla il generale Arpino

Con un discorso alla nazione a poche ore dall’anniversario dell’11 settembre, Barack Obama ha illustrato le sue mosse per contrastare i jihadisti dell’Isis. Un’azione militare che conterebbe sul supporto di un’ancora poco chiara coalizione internazionale che includerebbe anche Paesi arabi. Una strategia che non convince il generale Mario Arpino, membro del consiglio direttivo dello Iai, che in una conversazione con Formiche.net spiega perché il piano del presidente americano è destinato con ogni probabilità a fallire.

Generale, come commenta il discorso di Obama che ha ufficialmente aperto la guerra all’Isis?

C’erano molte aspettative, in larga parte disattese. Non si è capito bene dove volesse andare a parare. Si è intuito solo che si tratterà di un impegno lungo, ma non è chiaro chi lo supporterà e come.

Dal vertice Nato in Galles è emersa chiaramente l’idea che a stroncare lo Stato islamico non debbano essere gli Usa da soli, ma una grande coalizione. Come commenta questa prospettiva?

Mi pare che al di là dei buoni propositi e della solidarietà non esista al momento alcuna coalizione. Ad eccezione del Regno Unito, gli Usa non hanno raccolto alleanze concrete attorno a questa idea, semmai qualche rifiuto. E poi vi è una forte contraddizione tra quanto detto da Obama nel suo discorso e quanto si legge nel documento finale del summit di Newport. L’Alleanza atlantica addossa quasi tutte le responsabilità di quanto accade alla Siria di Bashar al-Assad, il che è una contraddizione in termini. In primo luogo perché a foraggiare l’Isis sono stati alcuni alleati degli Usa e dell’Occidente, come Arabia Saudita e Qatar. E poi perché anche Obama ha capito che collaborare con il regime siriano è l’unica possibilità concreta di debellare il gruppo terroristico. Non solo: siriani, peshmerga curdi ma anche iraniani stanno già facendo il “lavoro sporco” sul terreno, quello che noi non potremmo fare.

Obama ha parlato esplicitamente di una guerra contro l’Isis e non contro l’Islam. Come considera questa strategia che tende a includere in questa coalizione anche Paesi dell’Islam sunnita?

Forse questo è proprio il punto debole del suo intervento. Il presidente americano parla come se i propositi di questo Califfato, ovvero la costituzione di un grande Stato islamico e la conversione finale dell’Occidente, non fossero ben radicati nel Corano. Questo è un richiamo irresistibile anche per alcuni Stati alleati, oltre ad acuire il conflitto interno al mondo islamico tra sunniti e sciiti. Per questo una strategia del genere potrebbe funzionare all’inizio, per poi produrre un buco nell’acqua.

Quali valutazioni hanno ispirato la strategia della Casa Bianca?

Probabilmente Obama ha parlato più per reagire alle pressioni interne dei repubblicani che per rivolgersi all’Occidente. La sua è una paura di rimanere da solo, non un piano politico e tattico. Questo conferma la sua debolezza in politica estera.

Gli Usa continuano a chiedere all’Europa non solo maggiore leadership, ma anche più risorse da destinare alla difesa. Gli Usa non vogliono più essere i poliziotti del mondo o chiedono solo all’Occidente di condividere il costo della democrazia?

Questo è un problema serio, ma di difficile soluzione, perché non esiste un’Europa politica, né tantomeno un’Europa della difesa. Obama vorrebbe svincolarsi da molte situazioni che però è costretto a guidare, perché è il ruolo dell’America nel mondo che glielo impone. L’Occidente vuole una leadership americana, ma lui la pensa diversamente. Il problema è che nel frattempo, anche a causa di questo approccio, gli sono esplose tra le mani tre crisi come quella ucraina, il deterioramento dei rapporti con la Cina e ovviamente quella in Medio Oriente. Non ho mai visto degli Usa così poco autorevoli e questo non è un bene.

Dal punto di vista strettamente militare, in cosa crede consisterà l’offensiva contro l’Isis? E quale supporto potrà eventualmente concedere l’Italia?

In queste ore si parla di incursioni aeree, che a mio parere non sono però sufficienti. Il problema non è se inviare droni o caccia. Dopo gli aiuti umanitari e le armi ai curdi, l’Italia offrirà probabilmente istruttori, aerei da rifornimento e forse Predator da ricognizione. Ma parlando in senso generale, un conflitto del genere necessita un impegno massiccio. Non si può affrontare la guerra a metà, come vorrebbe una porzione dell’opinione pubblica occidentale e lo stesso Obama. L’Isis si è appropriata di molti mezzi pesanti trafugati dall’esercito iracheno durante numerose scorrerie. Questi sono facilmente abbattibili con dei raid aerei. Poi però i terroristi si rifugerebbero nelle città occupate, dando inizio a una guerriglia che può essere affrontata solo con uomini sul campo. La probabilità di perdite umane allora sarebbe da mettere in conto per forza. In guerra non c’è spazio per l’ipocrisia.

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