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Islam e guerra di religione. Un j’accuse

Le terribili stragi e decapitazioni avvenute in Iraq hanno sconvolto i paesi occidentali. La loro angoscia è certo comprensibile, visto che gli ideali del mondo cristiano sono la pace, la democrazia e il rifiuto della pena di morte. Ma è anche superficiale e, in fondo, frutto di ignoranza. Dove c’è Islam, quasi dovunque c’è la guerra. Che è sempre una guerra di religione, come indica la parola Jihad, che significa «lotta» per far trionfare la «sharia», ossia l’unica vera fede.

Si pensi allo sterminio degli yazudi. In nessun paese arabo esiste il razzismo, il nemico non è il nero o il giallo, ma l’infedele, che non va ucciso per motivi etnici, ma religiosi, in quanto, adorando un altro Dio, bestemmia il vero Dio. Tutti gli uomini sono uguali, se credono in Allah. La tesi, ripetuta anche nei giardini del Vaticano, che le tre religioni bibliche hanno un solo Dio, per un islamico è una offesa alla religione. Per l’Islam il pluralismo religioso è una peste, la tolleranza una limitata (e pagata da dhimmi) concessione, c’è un solo ecumenismo: «Allah è Allah e Maometto il suo Profeta».

Occorre distinguere. L’integralismo islamico non ha dovunque la stessa intensità, vi sono paesi dove c’è minore fanatismo e fondamentalismo. Ma nessun islamico può ammettere quelle conquiste della civiltà occidentale, che sono la libertà di culto, la separazione fra Stato e religione, il primato della coscienza e la possibilità di scelta fra religioni diverse, l’emancipazione della donna. Tutto ciò per l’islamico non è progresso, ma corruzione.

Tanto per i poveri miliziani, quanto per il ricchissimo re Faysal dell’Arabia Saudita, un paese che ha accolto tutte le scoperte e le tecnologie della modernità, ma nulla dello spirito occidentale: nessuna costituzione (basta il Corano), divieto dei luoghi di culto non islamici, pena di morte per apostasia, adulterio, omosessualità, carcere per chi detiene simboli di altre religioni (come la Bibbia o la croce), cittadinanza riservata agli islamici, emarginazione della donna, obbligata al velo ed esclusa anche dalla guida dei veicoli, una rigida sorveglianza sul rispetto della sharia da parte del «Ministero per la propaganda della virtù e la prevenzione del vizio».

L’islam moderato è un puro non-senso. E la democrazia appare estranea alla tradizione islamica. Meglio: ad ogni area culturale non permeata dei princìpi cristiani. Alcune civiltà, come l’India e il Giappone, ne hanno assunto alcuni elementi, mentre nei paesi islamici rimangono marginali e poco sentiti. La cosa è comprensibile, visto che il fondamento del liberalismo e della democrazia sono i diritti naturali dell’uomo, definiti nella civiltà europea da Antigone a Kant, e la distinzione tra Dio e Cesare. Due princìpi del tutto assenti nell’islamismo. Senza i quali la democrazia è impossibile.

L’unità di fede e politica, fondamento di tutta la civiltà islamica, appare oggi in forte ripresa anche in quei luoghi, dove la colonizzazione occidentale aveva condotto a mitigare l’integralismo islamico. Non mancano le prove: la cacciata o eliminazione di alcuni dittatori islamici, come Saddam, Gheddafi e Mubarak, non ha portato quei popoli alla democrazia, ma alla lotta tribale in nome dell’integralismo islamico; la stessa Turchia, da sempre ritenuta il più occidentale dei paesi islamici, vede oggi al potere due uomini di forte fondamentalismo religioso: alla presidenza della repubblica Erdogan, che ha sempre più accentuato tendenze autoritarie e fondamentaliste; e il premier da lui designato, Davutoglu, è un sunnita intransigente e propugnatore del «neo-ottomanismo».

Quei paesi non vogliono né la democrazia, né il pluralismo religioso, né il dialogo, né la collaborazione tra i popoli, ma cercano proprio in base al Corano di realizzare degli stati integralmente islamici. L’Occidente dovrebbe sapere, come lo sa Israele, che la guerra con l’Islam non cesserà mai. La guerra è lo stato normale, che consente l’espansione del Corano dal territorio islamico (dar al-Islam) nel mondo degli infedeli (dar al-harb, cioè territorio di guerra). Essa può essere interrotta solo da una «tregua» (hudna), mai da una pace definitiva.

Anche qui la soluzione non può essere quella indicata dalla superficialità di Obama, né quella dei paesi europei, che da decenni si stanno riempendo di islamici, non esclusi terroristi e tagliagole. Il problema, oggi, non è quello di esportare insieme globalizzazione economica e democrazia politica (due pretese che hanno accentuato, non diminuito i conflitti). È quella indicata dai grandi storici delle civiltà. Come Samuel Huntington, che già nel 1996 ammoniva: «La cultura occidentale è minacciata da gruppi operanti al suo interno, da islamici immigrati che rifiutano l’assimilazione e continuano a praticare e propagare valori, usanze e culture delle proprie società d’origine». Per evitare o almeno ridurre lo scontro fra le civiltà non serve «la chimera di un paese multiculturale», occorre «accettare la diversità e difendere la propria tradizione» (Lo scontro delle civiltà, cap. conclusivo: «Guerra di civiltà e ordine delle civiltà»).

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